L’arte del reporter a tempo di internet

Sala dei Notari, ore 15.30

“Un giornalista con la G maiuscola” Luisella Costamagna definisce così Bernardo Valli, giornalista per La Repubblica, esperto di politica internazionale, inviato del Corriere della Sera in India e Vietnam. Una Sala dei Notari piena di curiosi, ha avuto modo di sentire una delle voci più autentiche del giornalismo italiano, vincitore del Premo Saint Vincent nel 2008.
L’incontro ha avuto come punto centrale cosa pensa il giornalista dell’Italia di oggi e, soprattutto, del giornalismo di oggi.
“Siamo una Democrazia mediocre dal punto di vista della comunicazione. Il giornalismo non è una scienza esatta e non riguarda l’improvvisazione. Il lavoro del giornalista è un artigianato, un servizio pubblico perché fa parte del funzionamento buono della società a tutti i livelli. Se questo servizio non funziona bene, il benessere della società ne viene meno, Io vivo all’estero e la non funzionalità si nota”.
Valli si è sempre mostrato molto critico riguardo la televisione, ma cosa pensa riguardo il giornalismo di oggi? “Sappiamo che il nostro giornalismo continua a scendere ma non sappiamo bene perché. La crisi della carta stampata sta prendendo dimensioni inaspettate ed estremamente imprevedibili”.
Il lavoro del reporter di cronaca estera è tutt’oggi uno dei lavori più complicati da svolgere “La realtà è spesso a 10 centimetri a destra o a sinistra. Bisogna cercare quello che c’è in questi spazi della realtà scollandosi dai social che, per quanto utili, non daranno mai una visione completa della realtà”.
La cronaca estera, un tempo punto di forza della giornalismo italiano, perde campo per una sostanziale mancanza di idee: “Il giornalismo italiano non ha avuto giornali di riferimento. Si tratta di una parte esteri oggi molto modesta, incapace a volte di accorgersi di dove si stanno giocando le partite importanti come il futuro di Cina e India. In questi paesi ci sarà un confronto forte. Inoltre credo che il caso italiano sia davvero curioso: un paese d’emigranti come il nostro ha più italo-oriundi sparsi nel mondo che cittadini all’interno dei propri confini e non riusciamo a sfruttare questa ricchezza. Ad esempio, nonostante i tantissimi numeri in America Latina, non abbiamo un corrispondente italiano in quella zona del mondo”.
I giornalisti italiani hanno cambiato molto la loro figura professionale e Valli ne fa questo profilo: “I nostri giornalisti erano in passato una classe privilegiata e rispettata. Oggi è malmenata, economicamente viviamo una situazione catastrofica e i licenziamenti sono continui. Inoltre, sembra che il giornalismo ha perso la sua dignità perché si è abbassato a essere un sottoposto della politica che protegge, rovina o migliora la carriera di un giornalista. Un caso tipicamente italiano che è illogico in paesi come come Inghilterra.
I giornalisti, secondo il mio parere, non dovrebbero candidarsi e dovrebbero mantenere un profilo di distacco, non di servilismo e asservimento che avvelena l’informazione.
Il giornalismo in passato si prestava a commenti e tutto era più aperto al pensiero umano. La tecnologia ha cambiamo tutto: “Ora se voglio andare in Cina, tutti ci possono andare con internet. Torno adesso da Bagdad e noto tantissimo la differenza perché mentre li devo lavorare tanto per avere contatti e informazioni, qui mi basterebbe aprire il computer. Io, personalmente, mi rifiuto di cercare le notizie in questo modo perché voglio mantenere me stesso e la mia conoscenza”.
Questi fattori hanno notevolmente cambiato anche la qualità dei giornalisti che, per Valli, sono più bravi del passato ma sembrano essere fatti in serie, con pochi e comuni obbiettivi: “Vi sono fatti positivi e negativi ma il mestiere è cambiato e ha perso l’aureola romantica ed eccezionale. Questo è un difetto molto italiano”.
Riguardo i social, il giornalista si pone in totale rifiuto “Non ne ho non ne ho bisogno. Ho sempre rifiutato, uso internet strumento prezioso ma nei social non vedo nulla di straordinario perché non aumentano la mia capacità di visione della realtà. Ma io sono di un’altra scuola”.

Daniele Palumbo