Messico, narcotraffico e giornalismo: o silenzio o morte?

Finestra aperta sulla realtà messicana del narcotraffico presso la Sala Raffaello dell’hotel Brufani di Perugia. La V edizione del festival internazionale del giornalismo ancora una volta vanta ospiti d’eccezione. A raccontare un mondo dove la corruzione del sistema politico e militare, nonché una società indifferente e ipocrita, sono giornalisti del calibro di Anabel Hernandez, Malcom Beith e Cynthia Rodriguez, accompagnati da Gennaro Carotenuto e sapientemente coordinati da Cecilia Rinaldini.

E’ stata proprio la Rinaldini a introdurre l’argomento delicato e spesso ignorato totalmente dal panorama dell’informazione italiana: il narcotraffico e il ruolo del giornalismo in Messico. In un paese dove solo nel 2010 sono stati uccisi 14 giornalisti (in assoluto il numero più alto al mondo) e che conta già 40 mila vittime e 5 mila desaparecidos a causa del traffico di droga, i cartelli messicani del narcotraffico impongono una scelta ai tanti cronisti che sono tentati o si sentono in dovere di raccontare la realtà di un paese di frontiera: “Silenzio o morte?”.

Una testimonianza forte, amara e tagliente verso la sua stessa gente arriva da Anabel Hernandez, giornalista messicana sotto scorta minacciata di morte dal Ministro della Società Pubblica del governo Calderòn. Perché l'ostacolo maggiore alla lotta, anche a livello informativo, contro il narcotraffico, non sono i vari cartelli ma lo stesso governo. Le 45 mila vittime passano in secondo piano se a girare è il denaro. Per questo non conviene a nessuno la cattura di Joaquín "el Chapo" Guzmán, capo del cartello di Sinaloa e attualmente considerato uno dei maggiori ricercati nell'ambito del traffico internazionale di droga. Questo individuo è stato mitizzato, la sua intelligenza è stata riconosciuta dal governo messicano, che dall'inizio della sua latitanza nel 1993, si è detto incapace di catturarlo. E la giornalista autrice del libro Los señores del narco, si chiede se sia più pericoloso un trafficante o i cosiddetti uomini onesti, i politici che occupano gli scranni del governo messicano e che si scagliano contro questo tipo di criminalità a parole, salvo poi tutelarla con i fatti. La guerra ai cartelli promessa da Calderòn in campagna elettorale è, di fatto, una guerra fra cartelli per marcare il territorio, una battaglia in cui il governo sceglie semplicemente da che parte stare.

I meccanismi di questo conflitto sono messi in chiara luce da un'altra giornalista, nonché autrice del libro Contacto en Italia. El pacto entre la Ndrangheta y Los Zetas: Cynthia Rodriguez. Messicana anche lei ma emigrata in Italia per amore, ha studiato le dinamiche della 'ndrangheta ed ha collaborato con l'associazione Libera, inizia la sua indagine sui legami fra narcotraffico messicano e malavita organizzata calabrese nel 2008. Emerge dal suo lavoro più di un elemento comune, dando per ovvi i legami di commercio e di scambio di denaro fra le varie organizzazioni. Se in Messico muore qualcuno, è colpa del narcotraffico. Si alzano le mani e si lascia correre. Allo stesso modo in Calabria, i morti ammazzati sono morti di mafia. Solo che in Messico le cifre sono preoccupanti, e benchè Malcom Beith, giornalista e autore del libro L’ultimo narco, sostenga che un colpo ben assestato e in grado di ribaltare la situazione messicana a favore della legalità sia l'arresto di Guzmán, le dinamiche in corso sembrano tutt'altro che facilmente risolvibili. In una società dove i modelli da seguire sono quelli dei trafficanti di droga, come emerso dagli interventi e dalle domande poste dopo l'incontro, c'è ben poco da fare. Come ha ricordato Gennaro Carotenuto, Università di Macerata, il governo non prende nemmeno in considerazione la possibilità di nuove scuole, di servizi che possano rubare i giovani alla strada e al traffico di droga, ma al contrario non fa altro che spingerli nelle braccia di mercenari avidi di denaro che prosciugano un paese della sua ricchezza e del suo futuro. E cosa fare se non raccontare, scrivere, denunciare? Non come atto eroico, ma come obbligo morale e professionale di una classe giornalistica che invece troppo spesso preferisce tacere. E di nuovo si torna all'ovvio parallelismo con la 'ndrangheta e ci si guarda negli occhi stupiti, chiedendosi come si è arrivati a questo punto. La Hernandez lo sa: “Cuando salpica dinero, todo el mundo se calla. Ahora salpica sangre, y nadie sabe como hemos llegado hasta aqui”. (Quando zampilla denaro, tutti tacciono. Adesso zampilla sangue, e nessuno sa come siamo arrivati fin qui).

Annalisa Palumbo