Politica e televisione: la lunga anomalia italiana

È stata una discussione animata quella su “Politica e televisione: la lunga anomalia italiana”. In Sala dei Notari, giorno 24 aprile, alle ore 18, sono intervenuti  l’Ing. Franco De Benedetti, imprenditore e figura controversa della sinistra italiana; John Hooper, corrispondente in Italia per The Guardian e The Economist; il giornalista Paolo Madron; l’ex volto del Tg1 Paolo Di Giannantonio e il giornalista di Libero Francesco Specchia, moderatore dei lavori.

Al centro del dibattito sono state le modalità che il connubio tra televisione e politica ha assunto in Italia, in particolar modo il conflitto d’interessi (quell’anomalia che dal 1994 vede un rilevante soggetto politico coincidere con il maggiore editore del Paese) e la lottizzazione del servizio pubblico televisivo.

Il confronto è partito dalla tesi che Franco De Benedetti esprime nel suo libro La guerra dei trent’anni - Politica e televisione italiana 1975-2008. Secondo l’ex senatore il conflitto di interesse non sarebbe che l’ultima di una serie di anomalie che affliggono il sistema televisivo italiano sin dai primordi. Secondo De Benedetti, inoltre, il comportamento elettorale dei cittadini non sarebbe influenzato dal fatto che uno dei più importanti leader politici del paese controlli direttamente tre televisioni nazionali su sette: la gente avrebbe gli strumenti cognitivi per scegliere cosa vedere e valutare cosa pensare. Come spettatrice avrebbe inoltre il grande “potere del telecomando”: quello di cambiare canale.

Opposta la visione di John Hooper, secondo cui il predominio di Berlusconi nei mass media, che dura da 15 anni, avrebbe generato un enorme cambiamento nell’opinione pubblica italiana; la televisione avrebbe un ruolo nettamente subalterno rispetto alla politica, per capirlo è sufficiente guardare gli show di attualità per verificare come i giornalisti rinuncino a fare domande a politici onnipresenti sullo schermo e sempre più referenziali. John Hooper ha inoltre usato dei termini molto forti per descrivere la tv italiana, parlando di “doppia oligarchia Rai-Mediaset” e di “scomparsa dei fatti”.

Secondo Paolo Madron le anomalie che hanno afflitto la televisione italiana sin dall’inizio, non giustificano le contraddizioni presenti adesso. Tuttavia Berlusconi non è il solo problema della tv italiana: il servizio pubblico televisivo è sempre stato subordinato ai partiti (anche quelli della sinistra, che soffrirebbero di un “difetto di emulazione” nei confronti dell’uso che Berlusconi fa della comunicazione) e il problema di governance della Rai è oggi più vivo che mai. Una delle soluzioni per cominciare a sbloccare il connubio politica-tv, secondo Madron, sarebbe quella di vendere la Rai a privati e porre così fine alla lottizzazione.

Vista la presenza di Paolo Di Giannantonio, notevole spazio è stato dato alla vicenda della sua rimozione dalla conduzione del Tg1. Il giornalista di Raiuno ha affermato che chiedere se ci sia o no ingerenza della politica nell’informazione è solo una domanda retorica, tuttavia ha categoricamente rifiutato di usare toni polemici nei confronti del direttore Minzolini. Secondo Di Giannantonio, un direttore ha tutto il diritto di avvicendare i giornalisti, così come di fare editoriali. Tuttavia, nell’ambito del servizio pubblico, gli editoriali dovrebbero offrire più punti di vista. Di Giannantonio ha inoltre sottolineato la sua estraneità, come giornalista, a ogni contatto con la politica: piuttosto che scegliere di stare “in una squadra” o in un’altra, preferisce essere contro tutti.

Infine uno sguardo al futuro: gli ospiti hanno riflettuto su come sarà l’informazione tra 15/20 anni, in un ipotetico “dopo Berlusconi”. Il digitale prefigura spazi maggiori e modalità alternative per fare giornalismo. Ed è ciò che ha consolato i giovani giornalisti presenti in sala.

Valentina Costa
Gianluca Ruggirello

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