BuzzFeed e futuro del giornalismo: i gattini fanno sul serio

di Vincenzo Marino

C'è una media company in questo mondo che nell'arco di un anno ha visto crescere la propria squadra da 26 redattori full time a 117: si chiama BuzzFeed, è stata per mesi un collettore di meme e gattini graziosi, e da dicembre - con l’ingresso dell'ex redattore di Politico Ben Smith - sta puntando alla miscela fra political report e aggregazione di contenuti leggeri. Questa settimana uno dei soci di BuzzFeed Chris Dixon ha pubblicato sul proprio blog una mail inviata dal CEO Jonah Peretti all'intera redazione per spiegare strategie e progressi del sito - «Mi è proprio piaciuta, così ho chiesto a Jonah se potevo condividerla e mi ha dato il permesso». Dando non poco da riflettere a operatori del settore e appassionati della materia. Nel memo - oggetto: «The Top 7 Reasons BuzzFeed Is Killing It» - Peretti rende noti i numeri degli ultimi mesi e cerca di spiegare il segreto del successo del progetto. «Le cose vanno alla grande per BuzzFeed: il mese scorso abbiamo superato i 30 milioni di visitatori unici, e il nostro fatturato sta per triplicare quello del 2011», scrive il CEO. «Ogni volta però che un’azienda ha questo tipo di successo, stampa, concorrenti e pubblico cominciano a chiedersi: ‘Ma come fanno??!?’(...). L'ipotesi di base è che una società debba in qualche modo barare o utilizzare qualche trucco per aumentare il traffico o le entrate». Scetticismo giustificato, precisa, dal fatto che in molti, per entrare nel mercato, utilizzano volentieri pratiche poco corrette. Ma la formula, continua la lettera, è tutt'altra. E viene riassunta in alcuni punti: focalizzazione sul lungo periodo, con l'obiettivo fisso su una duratura e indipendente stabilità economica («Bisogna preoccuparsi del prossimo anno così come ci si preoccupa della prossima settimana»); rispetto per i lettori - semplificare l'esperienza dell'utente, senza trucchi, applicazioni fastidiose o vincoli SEO («Evitiamo tutto ciò che è cattivo per i nostri lettori, e che si può giustificare solo con interessi a breve termine»); autosufficienza tecnica («Ci cuciniamo da soli la nostra enchilada, e non c'è niente di meglio di un'enchilada fatta in casa»); gioco di squadra e - ammette - anche un po' di fortuna - l'idea giusta al momento giusto, è il senso. «But success is fragile».

Il caso, nello scenario mediatico mondiale, ha la sua rilevanza. Non a caso negli ultimi giorni l'aggregatore di hot topic su media e giornalismo “Fuego” - piattaforma creata dal Nieman Journlaism Lab - segnala l’argomento “BuzzFeed’s Strategy” come il “più caldo” dell'ultima settimana. E a certificarne la fondatezza, il commento di Matthew Ingram su GigaOM, un invito alle testate mainstream a tenere d'occhio i movimenti del sito. «Se qualcuno all'interno dei media tradizionali pensa a BuzzFeed - scrive Ingram - probabilmente lo vede come quel sito che pubblica photogallery virali di gattini e altra roba effimera, oppure come quelli che hanno portato via Ben Smith da Politico per fargli dirigere la parte seria. Ma mentre per molti passava inosservato, il network è cresciuto fino a diventare un'entità significativa nel mercato mediatico, e l'acquisto di Smith non è che l'ultimo esempio delle ambizioni del sito». Il memo di Peretti - avverte l’autore, ricordando il suo ruolo chiave nella creazione dell'altro caso di successo, l'Huffington Post - contiene molti meritevoli insegnamenti. Innanzitutto, da elogiare sarebbe l'attitudine long term probabilmente inaspettata: sono in realtà molti i siti d'informazione, anche legati a testate storiche, che vedono nel mercato online un'ancora di salvataggio fatta di click facili accumulati giorno dopo giorno, senza programmazione. BuzzFeed, invece, lavorerebbe su un piano a lungo termine per costruire una «truly web-native media enterprise». Secondo, da sottolineare il rispetto per il lettore per niente scontato, dal momento che «tutto è fatto col fine di condividere informazioni che possano divertirlo, in un modo che li diverta». Cosa non facile, aggiunge il CEO nella lettera. Il successo, precisa Ingram, «deriva dal vedere a cosa gli utenti sono già interessati, quindi filtrarlo e impacchettarlo nel modo più facile possibile per la condivisione. Che si tratti di politica o di gatti». Da ultimo, un plauso alla ricerca continua di nuove forme di advertising, puntare sulla condivisione ‘sociale', lasciare ai media tradizionali i classici banner pubblicitari, diversificare le inserzioni per ogni settore del sito, che concorrerebbe - insieme agli altri - alla creazione di «una macchina con un unico scopo: convincere la gente a condividere contenuti». Un caso di «hyper-social media» di successo da studiare attentamente, conclude il post, «che siate piccole o grandi media company».

Non è un mistero il fatto che la testata abbia intenzione di imporsi soprattutto come laboratorio nel mercato mediatico, per forme narrative e approccio innovativo al lavoro giornalistico: a notarlo nelle ultime ore è anche Justin Ellis su NiemanLab, che parla di modelli reinventati e 'lubrificati' per una maggiore presa sui social media, nella continua ricerca del nuovo. «Invece di spingere allo sviluppo di un pezzo con un buon titolo per i post su Facebook e Twitter, Smith cerca di sperimentare», ragiona Ellis. «Un esempio da lui indicato è stata la notizia della promozione del leader nordcoreano Kim Jong Un al più alto grado militare del paese: invece degli aggiornamenti in stile AP, BuzzFeed prese le parti virali della storia facendone qualcosa di più condivisibile sui social, grazie a delle gif animate e al titolo 'Kim Jong Un ottiene una promozione'». Una prassi creata e affinata dal fatto che l'Editor-in-Chief pensa alla propria creatura come una testata «deeply web-native», che ragiona con la testa e le aspettative del lettore online: il vecchio modello giornalistico, la produzione testuale dai due agli otto paragrafi, «non funziona quando le persone sono esposte a così tante informazioni, continuamente». «In generale, penso che il modello dell'articolo da 800-1200 parole sia compromesso, non mi sembra si condivida questo tipo di roba in rete», prosegue. Cosa che non impedisce loro, comunque, di coprire eventi con una certa varietà di fonti. Smith, insomma, si aspetta un lungo periodo di prova, non privo di errori. Alla ricerca di «un modo nuovo di raccontare storie, che siano più 'visive' e emotivamente dirette».

I dati intanto danno certamente ragione al gruppo di Peretti: la crescita continua del team, i trenta milioni di visitatori unici nell'ultimo mese - confrontati persino ai venti dell'aprile scorso - mostrano un progetto in forte crescita, sebbene - si fa notare su Business Insider - buona parte di questa ascesa derivi probabilmente dal traffico raggiunto da un singolo articolo, l'ormai famigerato post da 9 milioni di contatti unici, il 'mostro' online intitolato «21 Pictures That Will Restore Your Faith In Humanity» e che ha animato una corsa all’emulazione e un vivace dibattito in rete nelle scorse settimane. La storia: «21 foto che ti ridaranno fede nell'umanità» è il classico post in BuzzFeed style nel quale sono aggregate foto dal contenuto spropositatamente melenso - gente che salva animali in pericolo e simili - provenienti da diverse fonti esterne - in genere i soliti ‘fornitori ufficiali', Reddit, 4Chan, Tumblr, Pinterest. Il ‘pezzo’ funziona e gira spaventosamente, fino ad arrivare alle cifre menzionate. E a svegliare la curiosità di Farhad Manjoo su Slate. «Il mio primo pensiero è stato 'Ma perché non ci ho pensato?'. Che è una domanda che mi pongo spesso quando punto il mio browser su BuzzFeed - cosa che faccio molte volte al giorno». Ma qual è il loro segreto? Manjoo ha cercato le chiavi di ricerca giuste - per esempio «faith in humanity» - su Reddit e Google, trovando praticamente tutte le immagini inserite nel post. Ma non solo: su NedHardy.com - sito molto simile e molto meno famoso - era già stato pubblicato, con le stesse foto, un post con lo stesso titolo, sebbene con 8 foto in meno - «13 foto che ti ridaranno fede nell’umanità». E così per altri contenuti di successo trovati su BuzzFeed, e quindi cercati online: fonti mai citate, immagini fuori contesto, assemblamento di idee e contenuti altrui che sembra essere diventato, col tempo, un meccanismo perverso e vincente: «Repeat the process enough, and you’re bound to get a few mega-hits. That’s not genius. It’s a machine», accusa l’autore. ‘Ci stavamo lavorando da prima’, è in sostanza la difesa di Peretti. Che sottolinea come, comunque, si tratti di semplice “aggregazione”, in linea con quello che avviene solitamente in rete: la ripubblicazione di contenuti mai inediti ma portati all'attenzione del proprio pubblico, un pubblico più vasto. Il sommario dell'articolo di Manjoo, peraltro, da solo spiega molto bene la posizione dell'autore: «Want to know the secret to BuzzFeed’s monster online success? Click here!».

Più conciliante il punto di vista di Derek Thompson su The Atlantic Online. Thompson accosta la storia e la strategia di BuzzFeed a quella della casa di produzione cinematografica Lionsgate, nota per aver accumulato le sue recenti fortune grazie alla serializzazione di film di successo (si veda la saga di Saw) e la trasposizione cinematografica di best seller letterari (The Hunger Games su tutti). La filosofia di fondo, spiega, è la stessa: dare al pubblico ciò che ha già funzionato e che di certo, in qualche modo, finirà col funzionare ancora. Sarà il mercato - sottolinea Thompson - a scegliere l'idea vincente: «Manjoo merita molto credito per il lavoro di ricerca sui post più popolari di BuzzFeed: è sempre divertente vedere come la salsiccia è fatta - soprattutto quando un pubblico delle dimensioni di New York compra quella salsiccia. Ma questo colpetto dato a BuzzFeed, oggi, suona un po’ fuori luogo. BuzzFeed è un hit maker che punta all'unico metodo affidabile col quale vengono create hit: capire cosa è già popolare facendone qualcosa di nuovo». Lo stesso Atlantic, aggiunge, punta sugli stessi argomenti di successo di anno in anno. Cosa lo accomuna con BuzzFeed, e la stessa Liongate, nelle evidenti diversità? «Il fatto che quando sei nell’hit-making business hai solo una certezza: ciò che ha già funzionato», conclude Thompson. L’argomento è comunque rimasto per giorni motivo d’interesse e approfondimento - da segnalare chi, come Adrian Chen su Gawker, è arrivato a parlare di «plagio» e «cattiva netiquette».

Intanto BuzzFeed ha portato a casa, nel giugno scorso, un accordo con il New York Times. La collaborazione tra le due testate - evidentemente molto diverse fra loro - riguarderà principalmente la copertura video delle convention di Democratici e Repubblicani previste per fine estate. «Seguiamo con molto interesse il modo in cui i social media spingono gli articoli», spiega l’Assistant Managing Editor del Times Jim Roberts. «Ben Smith e la sua squadra eccellono in questo tipo di cose, faremo affidamento su di loro e cercheremo di trarne vantaggio, non solo per i social media. Possono aiutarci a creare qualcosa di davvero interessante». Mentre scriviamo, un titolo in homepage ci invita a scoprire come fare di un cane un apribottiglie - ovvero infilandolo nel collare dell’animale. A lato, Obama con faccia grave dichiara qualcosa sulla strage di Aurora. Più alto, un link evidenziato in giallo, “We’re hiring!”: sono circa quattordici le posizioni offerte, cercano creativi, video-producer, stagisti, sales director su NYC.