Cos’è giornalismo? Tra etica, verità e marketing

di Antonio Rossano

La trasformazione che sta attraversando il mondo del giornalismo è un processo in continuo divenire. La verità è che nulla potrà più essere come prima, fondare in maniera stabile su un modello economico o su principi deontologici assoluti. Questo per una serie di motivi fondamentali: la disgregazione del sistema economico di riferimento per il mondo delle informazioni, basato su un principio di scarsità oramai estinto;  la disgregazione del modello economico capitalistico globale che ha portato alla perdita del concetto di accumulo come motore persistente dei processi economici; la rivoluzione tecnologica e mediatica che vede, da una parte la perdita di consistenza dei mass-media (processo iniziato già con la diffusione della tv via satellite e via cavo)  dall’altro la diffusione della rete Internet con la collettivizzazione dell’intelligenza e delle risorse.

In questo vorticoso divenire, questioni basilari, per le quali quotidianamente si cerca di individuare delle tendenze, un percorso, sono due: il modello economico di riferimento e una nuova identità per i giornali. Le due problematiche sono imprescindibilmente interconnesse: il modello economico sta all’uovo, come l’identità del giornale sta alla gallina.

E due sono le questioni che, a cavallo tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre, si sono intrecciate nelle analisi di alcuni (soliti) esperti di comunicazione e giornalismo: la prima, innescata dal discorso tenuto da Hal Varian, economista di riferimento di Google, lo scorso 15 Settembre a Milano in occasione della consegna del premio “È giornalismo”: nel suo speech centrato sull’analisi del giornalismo in rete, Varian suggerisce e propone una serie di strategie di marketing che gli editori dovrebbero mettere in campo per cogliere l’attenzione dei lettori. Gli fa eco Jeff Jarvis in un post in cui critica apertamente tale analisi, «basata sull’attenzione al marketing piuttosto che su una prospettiva di rilevanza e di relazione».  E il titolo del post di Jarvis rappresenta molto bene la contesa: «L’economia dell’attenzione contro l’economia della relazione».

La seconda questione, emerge da un articolo di Mathew Ingram su Paid Content, che analizza criticamente un post, pubblicato sul sito di informazione Gawker: l’articolo incorpora la lettera di  un padre che disconosce la figlia dopo che questa ha rinnegato il proprio figlio gay. Nel post è scritto chiaramente che non è chiara l’origine o la veridicità di tale contenuto. L’articolo però, nel frattempo, riceve 17.000 “mi piace” ed oltre 9.000 condivisioni su Facebook. «Questi sono i tipi di problemi etici che tendono a sorgere quando l'output editoriale si basa in parte sulla ricerca e la condivisione e sullo sfruttamento del traffico generato dai  contenuti virali, come accade per testate come Gawker, o Buzzfeed o Upworthy»scrive Ingram, nel suo articolo.

Ma torniamo alla prima problematica. Secondo Jarvis la funzione del giornalismo dovrebbe essere  prioritariamente quella di «un servizio per la comunità», un giornalismo sociale quindi, dove «chiunque può compiere atti di giornalismo». Una questione identitaria che però, se riguarda la modalità di interazione tra il giornale ed il suo pubblico, diviene elemento strutturale del suo modello economico.  E d’altra parte l’idea di Jarvis non è «rivoluzionaria»: il giornalismo come 'servizio sociale' esiste ormai da tanti anni: il modello 'non profit' che, proprio negli Stati Uniti trova il luogo di maggiore espansione e diffusione, ne è un concreto esempio.

La critica a Google da parte di Jarvis, sebbene innestata in una più generale critica agli editori, è forte: Jarvis accusa Google di perpetuare  un vecchio modello di media basato sull’attenzione (sui banner) e non sui bisogni degli utenti; vendere la pubblicità, i banner, è il modello che Google sembrerebbe imporre agli editori. Se questi, infatti, possedessero la quantità di metadati che ha Google quando personalizza i propri messaggi pubblicitari, potrebbero costruire i propri contenuti intorno ai gusti e alle preferenze dei lettori. Ma quelle informazioni le ha Google e non i giornali che, peraltro non le richiedono o non le cercano: da qui, per Jarvis «i giornali credono ancora al mito dei mass-media: sperano che in un po’ di tempo i lettori  leggeranno tutte le pagine che loro scrivono e guarderanno tutti i banner su di esse. Questa è la lezione che Google ci insegna. Questo è il mercato dei media che Google, più di chiunque altro, ha creato».

E ancora, sulla questione, Om Malik, padre e anima di GigaOm, nonché di PaidContent, prende chiaramente le parti di Varian/Google quando il 27 settembre, scrive in un tweet «l’attenzione genera obiettivi» in risposta ad un agnostico tweet  di Ingram sul tema, confermando proprio quello che aveva scritto alcuni mesi or sono sulla tematica “attenzione”.

L’intreccio/contrapposizione dei due aspetti, etico ed economico, è altrettanto evidente per il fatto che, se la questione Gawker appare strutturalmente un problema che affonda le sue radici nel significato stesso della parola “giornalismo”, essa non è che il risultato della scelta di un modello economico basato su una concezione di informazione da “industria culturale”, dove evidentemente le notizie ritornano ad essere dei prodotti e i lettori dei consumatori, con poca o nessuna attenzione al rapporto con il lettore,  alla qualità ed alla verità. Esattamente ciò che dice Jarvis in nella sua critica a Google/editori.

(foto via)