Il giornalismo nell’era della sorveglianza, dei dati e degli “human media” #ONA13

Nell'anno di Greenwald e degli NSA files, appare sempre più urgente portare nelle redazioni una commistione tra reporting tradizionale e competenze scientifiche e tecnologiche.

di Andrea Iannuzzi

"Se fossi stato bravo in matematica, non avrei fatto il giornalista". La vecchia battuta - che ancora circola nelle redazioni dei giornali - è destinata a finire definitivamente tra le citazioni d'epoca.

Oggi, un giornalista che non abbia dimestichezza con i numeri (dati, statistica, codice di programmazione, perfino crittografia), ma soprattutto un approccio e un metodo scientifico,  difficilmente può immaginare di portare valore aggiunto alla propria professione e al servizio pubblico che è chiamato a svolgere.

È questo il trend che emerge da #ONA13, la conferenza annuale dell'online news association che si è da poco conclusa ad Atlanta. E a confermarlo non è solo una star del giornalismo statistico come Nate Silver - autore di un affollatissimo keynote sul tema.

Gli esempi virtuosi, nel mondo, sono già consolidati. Senza scomodare il Guardian con i suoi NSA files (comunque protagonista della tre giorni di Atlanta) si possono ammirare i progetti vincitori degli Online Journalism Awards, ma più in generale la sensazione è che, se c'è un futuro per le redazioni giornalistiche come le abbiamo conosciute finora, questo passa attraverso la contaminazione di competenze e culture: giornalisti, programmatori, designer, analisti dovranno sempre più lavorare fianco a fianco e lo stesso concetto di giornalista dovrà comprendere un po' di tutto ciò.

Pensiamo solo al giornalismo investigativo, che poi resta l'essenza vera del giornalismo. Con miliardi di dati disponibili e da analizzare, come può un giornalista immaginare di svolgere il proprio lavoro senza conoscenze matematiche, statistiche e tecniche che gli consentano di trovare i dati giusti, interpretarli, confrontarli e offrirli all'utente? O pensiamo di poterci accontentare delle interpretazioni ufficiali dei dati? E che dire della tutela delle fonti? Come spiega Micah Lee, attivista dell'EFF che ha lavorato a fianco di Greenwald sugli NSA files, oggi e necessario garantire alle fonti canali protetti, crittografia e altro per potere avere la loro collaborazione. Non basta più rifiutarsi di rivelare la fonte, la tecnosorveglianza consente di svelarla comunque. Per questo c'è bisogno della cosiddetta igiene digitale

Ma in ogni ambito dell'attività giornalistica c'è ormai bisogno di competenze che vanno oltre la pur necessaria capacità di sapere mettere in fila i fatti e trasformarlo in notizie. Qui di seguito, un breve elenco di spunti emersi dalla conferenza di Atlanta.

1. User is king is the new content is king

Contenuti, contesto, design, interazione ma soprattutto analisi dei dati: tutto va nella direzione di capire chi fruisce del nostro prodotto, come lo fa, quanto lo fa e come potremmo fornirglielo meglio. Dal social media editor siamo passati all'engagement editor.

2. Dalla modalità pull alla modalità push

Corollario del punto uno, ma anche rivoluzione copernicana: non c'è più il giornale cattedrale che attira a sé i fedeli per annunciare la lieta novella, ma i giornalisti e le strutture dei media diventano "deli", cercando di consegnare a ciascuno la notizia - in senso lato - che più gli serve/piace in un determinato momento della giornata. Questo non significa rinunciare a scegliere o adattare il proprio lavoro alla domanda dell'utente (che magari clicca solo sulle gif dei gattini) ma introdurre nel giornalismo il concetto di customer care, la necessità di accompagnare l'utente nella sua dieta informativa nel corso della giornata.

3. Mobile/snackable

Se un sito e i suoi contenuti non sono fruibili da device mobili (che non significa necessariamente in mobilità o fuori casa) la sfida è persa in partenza. Tutti i trend dicono che il consumo di contenuti da tablet e smartphone presto supererà quello da desktop. Ciò pone problemi di progettazione, design, user experience e modo in cui i contenuti vengono realizzati. Un esempio sono i MOOCs, i corsi didattici online collettivi e la loro struttura in unità informative. Bisogna pensare a una fruizione "snackable" ma a maggior ragione è importante il contesto per non perdere di vista il senso della storia. Storify: "Mobile first: the challenge of pocket journalism"

4. No "One size fits all"

Anche se il contenuto (notizia o topic) è lo stesso - al netto degli elementi multimediali - non lo si può immaginare di una taglia unica che vada bene per tutti. In particolare il contenuto digitale funziona in versione "small" e "large", mentre la via di mezzo rimane il tipico (e forse unico) modo di realizzarlo per la carta, dove lo spazio costringe alla sintesi ragionata. Per questo non si può pensare di adattare all'online ciò che si immagina e realizza per la carta, ma il contenuto va fin da subito progettato e fatto secondo una logica modulare.

5. Dai social media agli Human media

Google glass, sensori, anticipatory computing. I trend sono quelli di trasformare l'informazione in un'esperienza sensoriale, intelligente, umana, sia per chi la crea che per chi ne usufruisce.

(photo via @ONAconf)