Media e calcio: L’industria del pallone dal campo alla TV

Intervengono Paolo de Paola, direttore Corriere dello Sport
Fabio Guadagnini, VP e direttore Fox Sports Italy
Xavier Jacobelli, direttore editoriale di calciomercato.com
Giulia Mizzoni, Fox Sports Italy
Vittorio Oreggia, direttore Tuttosport

Si apre con un video dal titolo “Il calcio che amiamo” l’incontro “Media e calcio: l’industria del pallone dal campo alla TV”, durante la terza giornata del Festival Internazionale del Giornalismo 2015 in corso a Perugia. Un confronto sulla salute del calcio italiano in un clima di profondi cambiamenti quello che si svolge alla Sala dei Notari, moderato dalla giornalista sportiva e volto di Fox Sports Italy Giulia Mizzoni.

Sono più di 25 milioni gli appassionati al calcio nel nostro paese, rivela la prima slide presentata al pubblico, “che,” nota la Mizzoni,  “nonostante le vicende del calcio italiano rimangono comunque tanti”. Tuttavia, quasi un 5% afferma di non essere “tanto interessato alla materia,” non supportando alcuna squadra in particolare, numero che, pur non rappresentando, ancora, un vero e proprio problema, è un campanello d’allarme sulle condizioni dello sport più popolare nel nostro paese.

Perché, dunque, questo calo degli appassionati? Tenta di rispondere Vittorio Oreggia, direttore di Tuttosport. Per Oreggia il calo degli spettatori è l’occasione per porre l’accento sul problema dei nostri stadi, “vecchi, fatiscenti, insicuri”. C’è poi un problema di costi: “Il calcio costa di più rispetto a una volta,” nota Oreggia, e non tutte le famiglie sono in grado di permettersi il costo del biglietto per una partita. Altra motivazione è infine quella che questi chiama “un’overdose di calcio”: si giocano partite sempre più frequentemente nell’arco della settimana, e le televisioni non fanno che esacerbare il problema. “Adesso un appassionato di calcio è bombardato di notizie”, può seguire il calcio nei minimi dettagli (avendo anche accesso ai dietro le quinte e ai post-partita), e questa pluralità di scelte può, a lungo andare, portare a crescente disinteresse.

Non è totalmente d'accordo Fabio Guadagnini, VP e direttore di Fox Sports Italy, per il quale, semplicemente, “la televisione si adegua alle esigenze logistiche delle squadre,” che giocano sempre più partite.

Per Jacobelli la colpa del calo degli abbonati non è della televisione, ma della gestione degli stadi stessi, e del clima di timore e rigido controllo, più che di sereno divertimento, che va a crearsi all’interno di questi. Anche nella gestione del mondo calcistico c’è bisogno di prendere provvedimenti, abbattendo un sistema di caste e di potere per cui “i signori del calcio non perdono mai la poltrona”.

A contrapporsi alla situazione di crisi del calcio italiano è il modello calcistico tedesco. In Germania la frequenza degli stadi è di quasi il 98%, e gli spettatori sono in continuo aumento: sono 45 mila gli spettatori medi per la serie A (Bundesliga) e 18 mila per la serie B tedesche (mentre per la serie A italiana si parla di una media di circa 21-22 mila spettatori). I tifosi sono, inoltre, direttamente coinvolti nelle società calcistiche tedesche, attraverso un sistema di azionariato popolare.

Quello della Germania che ha vinto i mondiali nel 2014, commenta Paolo de Paola, direttore del Corriere dello Sport, è un “modello che ha vinto sotto il profilo dei giovani,” che funziona, e che il giornalista si augura di vedere prima o poi anche in Italia. Guadagnini aggiunge inoltre che il sistema tedesco è “virtuoso anche dal punto di vista dell’integrazione,” nelle singole squadre, dei giocatori di diversa nazionalità.

Per Vittorio Oreggia il paragone con i sitemi calcistici europei, l’invito a seguire il loro modello non è condivisibile in maniera pratica. Nel nostro paese, egli nota, “non abbiamo la cultura né dei paesi anglosassoni, né della Germania,” gli Italiani non sono abituati  a “vivere allo stadio” sette giorni su sette.

Il discorso si sposta quindi sulla questione degli stadi italiani, che “hanno quasi un’età da pensione,” commenta Giulia Mizzoni.  L’età media è di 64 anni - un quadro che risulta ancora più amaro se si guarda alla Germania, dove, nel 2006 tutti gli stadi sono stati ristrutturati, entrando a far parte della categoria più alta di classificazione (“elite”). Nessuno degli stadi italiani risulta in tale categoria.

Xavier Jacobelli chiama in causa le responsabilità della politica italiana tutta, a prescindere dall’orientamento: “manca la volontà politica di affrontare la questione dell’impiantistica sportiva”. “Se il calcio italiano non riesce in tempo rapido ad ammodernare le proprie strutture non potrà mai essere competitivo” a livello europeo o mondiale, nota Jacobelli; bisognerebbe capire che, al contrario, “gli stadi sono il volano del futuro”.

Si parla poi del problema delle curve, che, per Vittorio Oreggia, “sono uno spaccato della nostra società”. Nelle curve c’è prostituzione, c’è spaccio di droga; c’è, però, “tutto un mondo che ruota intorno al calcio che si tappa le orecchie e si chiude gli occhi”.

La proiezione dello speciale di Fox Sports su “il mondo dei giovani dell’Ajax” lancia dei messaggi da cui il calcio italiano potrebbe - e dovrebbe - prendere esempio. Dall’idea che “vincere piace a tutti ma non è fondamentale,” perché “l’importante è raggiungere degli obiettivi di crescita,” come afferma Michele Santoni, performance analyst dell’Ajax, alla volontà di creare campioni allenando i giovani del luogo, piuttosto che comprarli. Per Guadagnini quello dell’Olanda è un “sistema virtuoso che valorizza i talenti all’interno del mercato”; il calcio italiano, al contrario, si regge sulle compravendite di calciatori, che comunque non risollevano il sistema (le entrate nette, rivelano i dati, sono a  -202 con plusvalenze, -670 senza). “Occorre una classe governativa che pensi al calcio del futuro considerando la necessità di un investimento sui giovani,” conclude Jacobelli.

Silvia Maresca