Snapchat e i suoi fratelli. Il giornalismo oltre il mercato tradizionale

Questa settimana in RoundUp: il giornalista del Washington Post sotto processo in Iran, accusato di "spionaggio" e "attività propagandistiche contro il sistema"; i piani di BuzzFeed e Snapchat per futuro del giornalismo, e il modello delle pubblicità online - non l'unica alternativa economica per il giornalismo digitale, secondo alcuni.

di Vincenzo Marino

Il giornalista americano sotto processo in Iran

Secondo Reuters, che cita agenzia stampa locali, questa settimana in Iran sarebbe cominciato il processo ai danni del giornalista iraniano-americano Jason Rezaian.

Il giornalista, corrispondente da Teheran per il Washington Post dal 2012, è costretto agli arresti dal luglio scorso, ed è accusato di spionaggio in favore degli USA e di attività propagandistiche contro il sistema - almeno stando alla testimonianza di un portavoce giudiziario e a quella del fratello del reporter. I documenti che riguardano gli elementi sui quali si basa l’accusa sono tuttavia secretati.

Rezaian sarebbe stato arrestato 10 mesi fa senza accuse a suo carico e costretto a settimane di isolamento nel carcere di Evin, nel quale generalmente vengono condotti e interrogati prigionieri politici e giornalisti. Secondo l’Executive Editor del Washington Post Martin Baron si tratterebbe di accuse “assurde e vergognose”.

Il caso di Rezaian è stato affidato al giudice Abolghassem Salavati, meglio noto come “judge of death” a causa delle numerose sentenze capitali emesse dopo le proteste post-elezioni del 2009. Salavati è accusato dalle associazioni in supporto dei diritti umani di essere arma di repressione violenta contro di giornalisti e attivisti.

Il timing dell’udienza appare oltretutto sensibile, se si considera il fatto che i negoziati tra Iran e Occidente sul programma nucleare del paese sono in pieno svolgimento. Secondi alcuni analisti, l’arresto del giornalista sarebbe infatti da ricondurre a lotte di potere interne, scoppiate per condizionare l’esito dei colloqui internazionali.

Il processo è alle fasi iniziali, si sta tenendo a porte chiuse e non si conosce ancora la data della prossima udienza. Alla sbarra, oltre al giornalista, ci sono anche sua moglie Yeganeh Salehi e una fotoreporter. Rezaian rischia una pena a circa 20 anni di carcere.

I piani di BuzzFeed e Snapchat per il giornalismo

Questa settimana BuzzFeed ha annunciato la creazione di un laboratorio di ricerca e sviluppo presso la redazione di San Francisco, l’“Open Lab For Journalism, Technology and the Arts”. Il progetto servirà a sperimentare nuovi prodotti e tecnologie per il giornalismo, e i risultati delle ricerche saranno pubblicati in open source, così che ognuno potrà attingervi e lavorarci liberamente.

La nuova sezione, sotto la guida dell’ex autore di Wired US Mat Honan - da poco assunto insieme ad altri staff writer per rinforzare il settore tecnologico - è il posto nel quale, come spiega il CEO di BuzzFeed Jonah Peretti, bisognerà convogliare il lavoro in perdita di “una piccola percentuale del nostro team”, convinti che dallo sforzo “potrà nascere sicuramente qualcosa di buono” per il giornalismo - che peraltro a oggi rappresenta solo il 17% delle visite del sito: malgrado sforzi, l'assunzione dell'ex Politico Ben Smith e l'impiego di metà staff editoriale per le news, la gran parte delle visualizzazioni attirate da BuzzFeed arriverebbero per leggere contenuti su intrattenimento e lifestyle.

Nel post in cui il progetto viene annunciato, Honan scrive che considera gli esperimenti approntati dai media finora - tra paywall, modelli pubblicitari e partnership con Facebook e Snapchat - “mortalmente noiosi per chiunque non dipenda dagli assegni degli inserzionisti pubblicitari”. La logica del laboratorio, al contrario, secondo l’autore dovrà essere totalmente rivoluzionaria: “Al diavolo tutto. Noi facciamo i droni. I droni coi laser. Facciamo i droni, coi laser, e poi facciamo vedere a tutti come si fanno”.

Snapchat, appunto: questa settimana Bloomberg Businessweek ha pubblicato una lunga intervista al cofondatore e CEO Evan Spiegel in cui cerca di spiegare perché lui e la sua piattaforma saprebbero meglio di altri “cosa millennial e teen vogliono (né tv né Facebook)”, e per quale ragione potrebbero diventare centrali nel futuro del mercato dei media.

Snapchat è attualmente il social network coi tassi di crescita più alti: Spiegel, a 24 anni, dirige un’azienda da 330 dipendenti, 100 milioni di utenti e 2 miliardi di video visualizzati al giorno - secondo un documento che l’azienda sta inviando in queste settimane alle agenzie pubblicitarie. Una cifra che rappresenterebbe circa la metà dei video visti su Facebook, che però ha circa 10 volte il numero di iscritti.


Il widget per Chrome che sostituisce la parola "millennials" con "snake people"

Nel pezzo, che fa da copertina al nuovo numero della rivista, si parla anche dell’approccio di Snapchat al giornalismo, e del rapporto tra l’azienda e le testate con le quali ha stretto da poco un accordo (Daily Mail, Vice, Cosmopolitan tra le altre) per Discover, un servizio che permette di pubblicare contenuti giornalistici all’interno dell’app e che per il momento starebbe dando buoni risultati - almeno a sentire l’editor in chief di Cosmopolitan, che parla di 2 milioni di visualizzazioni al giorno sul loro canale.

Sempre di questi giorni, inoltre, è la notizia secondo la quale l’azienda starebbe cercando e assumendo giornalisti disposti a coprire le elezioni americane del 2016 proprio per la sua piattaforma, che esordirà, in qualche modo, nel mercato dei contenuti originali. Secondo Nathaniel Mott su PandoDaily, il segreto del successo di Snapchat starebbe proprio nel guardare al mercato senza assecondarlo, provando a costruire qualcosa di nuovo mirando al di là delle aspettative e delle richieste degli utenti (“avoiding — or willfully ignoring — a data-driven approach”), e basandosi soprattutto su quello che definisce “intuito” aziendale.

Il problema con la pubblicità online

Dal punto di vista delle inserzioni, per esempio, Spiegel ammette di essere quasi disgustato dall’esperienza pubblicitaria del “targeted advertising”. Ai propri inserzionisti, infatti, appare attualmente in grado di offrire due delle voci di mercato più appetibili e ricercate, cosa che alcuni media giornalistici, pure player compresi, sembrerebbero al momento non in grado di garantire:

- La sicurezza di raggiungere una succulenta quota di giovani consumatori (più del 60% dei possessori americani di smartphone tra i 13 e i 34 anni sarebbe un utente attivo del servizio);
- L’approccio mobile only, attraverso l’inserimento di video promozionali di qualche secondo, adattabili agli schermi degli smartphone e la visualizzazione in verticale.

Proprio questa settimana, peraltro, è uscito l’Internet Trend Report di Mary Meeker (qui le slide), che riporta qualche dato utile sull’utilizzo degli schermi in modalità verticale:

Il tempo speso con apparecchi orientati in verticale continuerebbe a crescere, evidenziando un sempre maggiore utilizzo dei dispositivi mobile e l’allargamento di una larga fetta di mercato. In un’altra slide del report, infatti, si intuisce come il mercato pubblicitario mobile sia una grandissima opportunità tendenzialmente in crescita, presentandosi come quello meno saturo del comparto. Un giro d’affari che dovrebbe arrivare a superare i 25 miliardi di dollari, quanto meno negli USA.

Trovare metodi alternativi per guadagnare dalla pubblicità online è uno dei nodi cruciali dell’attualità nell’industria mediatica, specie se si pensa a minacce “silenziose”, sottovalutate eppure efficaci come quelle degli Ad block, le applicazioni che nascondono banner e inserzioni sui siti durante la navigazione. Ne parla Frederic Filloux questa settimana su MondayNote, ricordando a tutti che il mercato di queste estensioni per browser è in forte ascesa, e rischia seriamente di vanificare tutti gli sforzi fatti nel settore pubblicitario.

Che fare? L’alternativa a banner e affiliazioni è uno dei temi di “ReCode's Sale and Life After Advertising”, di Katie Benner su BloombergView: in questi giorni ReCode - testata online nata dall’esodo di componenti del vecchio AllThingsDigital - è stata acquisita da Vox Media, a testimonianza del fatto, secondo alcuni, che lavorare sulle nicchie, sulla qualità e sulle relazioni extra-internet (come le conferenze) possa comunque rendere appetibile anche un prodotto che non può arrivare a tassi di crescita di un certo tipo, in termini di visualizzazioni e mercato.

“Non dico sia facile stare nel business dei media, è ovvio sia difficile fare soldi per le testate, ma è bene ricordare che quello pubblicitario non l'unico modello esistente". C’è vita oltre le cifre e le economie di scala dei nuovi big dell’informazione online, è probabilmente il messaggio. Il problema però, rammenta Mathew Ingram su Fortune, è che sebbene Internet e i social abbiano democraticizzato l’informazione, dando la possibilità a chiunque di diventare media, “nessuno alla fine ha mai detto nulla su come si faccia, poi, a sopravvivere”.