SPEAKING OUT: QUANDO L’INCHIESTA CAMBIA LA STORIA

È ancora possibile raccontare le zone di guerra attraverso il reportage giornalistico e modificare gli equilibri politici con il proprio lavoro? Questa la domanda di fondo del Panel organizzato in collaborazione con Medici Senza Frontiere e condotto da Sergio Cecchini, responsabile comunicazione di MSF, che ha moderato un dibattito fra giganti. In sala dei Notari, il pomeriggio di Venerdì 8 Aprile, si sono confrontati Richard Colebourn, inviato della BBC News, e Domenico Quirico, inviato speciale del quotidiano torinese La Stampa, sequestrato per 5 mesi in Siria nel 2013.

Secondo Quirico e Colebourn è ormai altamente improbabile che i reportage possano esercitare un'adeguata pressione sui governi, ma questo non vuol dire che la pratica sia inutile. Una delle sfide più importanti è trovare storie che catturino l'attenzione del pubblico. Negli ultimi anni inoltre il ruolo di Medici Senza Frontiere è stato fondamentale per puntare i riflettori sulla situazione dei civili nelle aree colpite. É poi compito dei giornalisti raccontare le storie di uomini e donne comuni che pagano sulla propria pelle i conflitti internazionali.

L'intervento dell'inviato italiano, tinto di note dolci e amare, ha particolarmente entusiasmato il pubblico in sala e offerto una magistrale lezione di giornalismo: “Il problema dei giornalisti inviati è il loro conformarsi gli uni agli altri riciclando le stesse notizie. Mentre il cuore del reportage di guerra è la condivisione del dolore collettivo di cui soffre un popolo. E questo dolore si può percepire solo se si vive realmente assieme a loro, altrimenti è inutile scrivere qualunque cosa. La salvezza del giornalismo è nell'assenza, nella pagina bianca. Solo se vivo in prima persona una circostanza ho il diritto di raccontare”.

Infine i due giornalisti hanno lanciato un messaggio di speranza ai giovani desiderosi di intraprendere la carriera di reporter: “La condivisione di materiali audio-video – ha sottolineato Colebourn – è la nuova frontiera del reportage, come ha dimostrato il moto d'indignazione collettiva suscitato dalla pubblicazione della foto del piccolo siriano Aylan Curdi”.

Noemi Francesca Tediosi