Lo stesso giorno in cui il prefetto di Milano ha chiesto al Comune di interrompere il riconoscimento alla nascita dei figli delle coppie gay e lesbiche, avvertendo che in caso continuino dovrà essere richiesto l’intervento della Procura per annullarle, la commissione Politiche europee del Senato ha bocciato la proposta di regolamento Ue per il riconoscimento dei diritti dei figli anche di coppie gay e l’adozione di un certificato europeo di filiazione.

Questo attacco ai diritti portato avanti nel nostro paese segue una prospettiva ideologica ben precisa: relegare sempre più ai margini ciò che non è considerato "normale", subordinando i diritti a una visione identitaria centrata sulla cosiddetta "famiglia tradizionale" e su ruoli specifici. Coerentemente con questa visione, da tempo assistiamo ormai a un sistematico attacco al diritto di abortire. Nonostante la pillola Ru486 sia stata legalizzata, far valere il diritto di scelta in Italia incontra ancora molte difficoltà. Nelle strutture sanitarie, l’obiezione di coscienza si attesa a circa il 70%, rendendo in molti casi impossibile usufruire del servizio. Secondo il progetto Mai dati, infatti, nel 2022 c’erano 72 ospedali con un tasso di obiezione superiore all’80, mentre in 22 ospedali e 4 consultori si è arrivati al 100%. Oltre alla diffusione di informazioni antiscientifiche e all’azione di gruppi anti-scelta che ostacolano l’accesso all’aborto con campagne mirate e nei consultori, molte regioni continuano a boicottare questo diritto fondamentale.

In Parlamento, invece, fin dall'inizio della legislatura sono stati presentati disegni di legge per riconoscere a livello giuridico il feto. La stessa legge 194, del resto, che Meloni vorrebbe rivedere per garantire il diritto a "non abortire", non garantisce il diritto all'autodeterminazione. L'aborto è concesso “alla donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”. E queste condizioni sono accertate da terzi, che sono chiamati ad “aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.

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