Case history per smentire alcune narrazioni su Cina e Giappone

La Cina e il Giappone rappresentano dei case history interessanti per capire come funziona e si inserisce all'interno di queste due società il mestiere di giornalista. Come si può infatti parlare di libertà d'informazione in un paese che tende a confonderla con la propaganda? E come spiegare un consumo così alto di giornali in uno dei paesi più all'avanguardia dal punto di vista tecnologico?
Questi i temi affrontati in questo panel da Giulia Pompili, giornalista de Il Foglio e da Simone Pieranni, giornalista e fondatore di China Files, un'agenzia editoriale nata per raccontare cosa accade nel paese del Sol Levante.
Da sempre la Cina è associata ad un governo che si può difficilmente definire democratico, dove il controllo dell'informazione passa attraverso due meccanismi importanti: la censura e la propaganda. Pieranni ne sottolinea infatti il profondo radicamento all'interno del settore giornalistico prendendo come esempio la presenza all'interno di ciascuna redazione di un ufficio per la propaganda. Questa continua intromissione del governo e del partito comunista non solo limita la libertà di stampa, ma influenza negativamente anche l'opinione pubblica che guarda sempre più con sfiducia alla stampa perché considerata eccessivamente allineata al potere.
In generale, continua il giornalista, vi sono argomenti considerati offlimits per i giornalisti e sono tutti quei temi legati alla leadership politica o economica del paese. Al contempo alcuni case history hanno dimostrato come su alcune tematiche, anche di interesse globale oltre che nazionale, sia possibile fare un ottimo giornalismo d'inchiesta. È il caso del documentario "Under the dome", realizzato dalla regista Chai Jing, che affronta il tema dell'inquinamento in Cina e che ha ottenuto anche il plauso da parte del governo.
I giornalisti cinesi si trovano dunque a lavorare in un contesto non semore semplice dove il proprio lavoro è costantemente messo sotto controllo ed osservazione. In tale contesto la capacità di dare vita a inchieste importanti come lo scandalo dei vaccini contaminati scoppiato nel 2011 o quello successivo al terremoto del 2008, acquisisce un valore ancora più straordinario.
Il Giappone rappresenta un caso particolare dovuto alla presenza di un sistema giornalistico molto complesso. Ogni giornalista, ci racconta Giulia Pompili,  appartiene ad un Press Club che a sua volta appartiene ad una precisa istituzione che non necessariamente ha a che fare solo con il mondo della stampa.
Il vero potere in Giappone è nelle mani della carta stampata con circa il 92% della popolazione che legge quotidianamente un giornale. Un aspetto interessante considerando il livello tecnologico del paese. Le motivazioni dietro questo consumo atipico della carta stampata sono da ricercare nella tradizione del paese, da sempre educato a considerare il giornale come la fonte per ecdellenza e soprattutto nella popolazione costituita per la maggioranza da ove 60. Un altro aspetto per capire questo fenomeno tutto nipponico è il processo di distribuzione che ciascun editore gestisce in prima persona, accanto alla stampa, evitando di affidarsi a terzi per queste due importanti fasi.
Infine, sottolinea la Pompili, è interessante considerare l'importanza acquisita dal sistema di abbonamento che rappresenta il 95% delle copie vendute ogni giorno. L'esempio più indicativo di questa politica degli editor è quello del giornale Yomiuri che ha dato la possibilità ai suoi abbonati più anziani di avere, in cambio di una detrazione dalla loro pensione, una copia dell'edizione per ragazzi da regalare ai propri nipoti. Strategie di marketing che sembrano non risentire della crisi provocata dall'arrivo dei social media. Questo è in parte dovuto alla totale sfiducia dei lettori giapponesi nei confronti di internet e della tv. Il pubblico nipponico si fida solo di ciò che viene scritto sui giornali, si tratta di un rapporto di fiducia che viene intaccato solo nel 2011 all'indomani di Fukushima e con l'insorgere di una serie di problematiche legate alla gestione della crisi da parte dei media nazionali. Problematiche che però sembrano non aver intaccato la reputazione dei giornali locali a cui, conclude la giornalista, è affidato il compito di ricucire questo rapporto di fiducia con i lettori.

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