C’era una volta l’articolo (e il social media editor)

Questa settimana in RoundUp: il cambio di ruolo al WSJ per i social media editor ha fatto pensare alla morte di questo nuovo tipo di figura giornalistica; Anthony De Rosa conferma la tendenza: lascia il controllo dei social di Reuters per assumere il ruolo di Editor in Chief a Circa; le piattaforme sulle quali lavorare infatti si moltiplicano sempre più, fino a chiedersi dove sia meglio pubblicare ogni articolo; ammesso che 'articolo' significhi qualcosa: BuzzFeed e FT sperimentano dei nuovi prodotti per entrare in competizione con Twitter.

di Vincenzo Marino

La morte del social media editor

La ridefinizione del ruolo del social media editor, e della nuova distribuzione delle mansioni redazionali, è stata al centro del dibattito giornalistico online a causa di alcuni eventi concreti che hanno portato specialisti del settore a cambiare la propria vita professionale - e per certi versi forse anche il futuro della produzione giornalistica. Tra questi, l'annuncio del passaggio dei social media editor del Wall Street Journal Liz Heron e Neil Mann al nuovo ruolo di capo degli emerging media e delle multimedia innovation (qui il memo interno). Un cambio di definizione delle competenze che appare come un chiaro segnale di come probabilmente nel futuro del lavoro a contatto coi social media sarà necessaria una sempre maggior integrazione con il resto della redazione: l’ingresso di una figura nuova e in continuo mutamento (un esempio, la posizione aperta da engagement editor a Mother Jones), e allo stesso tempo un’attività sempre più centrale nella presenza online (ma anche offline) di una testata, che non può più essere affidata a un solo ‘specialista’ ma che necessita di strategie editoriali condivise e coerenti.

Evoluzioni che hanno fatto pensare a una 'morte' della posizione di social media editor in generale, tesi analizzata in un post di Rob Fishman su BuzzFeed - sottotitolo «Every reporter works for Twitter». Fishman mette in evidenza i problemi che derivano dalla gestione di una sola persona dell'intero comparto social (come preconizzato già nel 2011 da Jennifer Preston, ex NYT), con relativi pericoli - errori da stanchezza, incapacità fisica di gestione dei flussi informativi, spesso frustranti, ripetitivi, fuorvianti. Una posizione ormai troppo importante per essere tenuta a margine, e che se sottovalutata - nelle parole di Choire Sicha di The Awl - rischia addirittura di complicare il lavoro dell'intera redazione. C'è chi dovrà costruire una squadra ad hoc e innestarla nei vecchi gruppi di lavoro, chi invece «ce l'ha nel DNA» essendo «fondamentalmente digital native come BuzzFeed», ma di sicuro continua a emergere la necessità di un ruolo di raccordo fra promozione, raccolta e affinamento delle notizie che sappia investire anche nel fattore umano e fare «da anchorman della tv», come spiegato da Anthony De Rosa.

Lasciare Reuters per un’app

Martedì scorso proprio il social media editor di Reuters De Rosa ha annunciato la sua decisione di lasciare la nota agenzia stampa per andare a ricoprire il ruolo di Editor In Chief a Circa. Si tratta di un'applicazione per iPhone e iPad (di cui abbiamo già parlato in precedenza) fondata dal CEO del sito di meme-e-gattini Cheezburger Ben Huh che permette di seguire notizie con sistema simile al ‘follow’ di Twitter e riceverne brevi aggiornamenti in tempo reale, curati da un team di redattori che seleziona le notizie in chiave editoriale - diversamente, per esempio, da applicazioni come Summly (peraltro appena acquistata da Yahoo) che si basano su algoritmi di ricerca. La peculiarità di questa notizia, che all'apparenza - come ricorda Andrea Iannuzzi sul suo blog - sembra dover interessare in pochi, è il fatto che lasciando una posizione così centrale in una testata di altissimo profilo, e scegliendo di aderire al progetto di una startup tecnologica (della quale entrerà a far parte in giugno), De Rosa sembra voler indicare una strada nuova e ancora del tutto inesplorata nel giornalismo, digitale e non: la ridefinizione del lavoro giornalistico e del concetto stesso di notizia in tutte le sue forme e i suoi processi di vita. E, ovviamente, una scommessa sul futuro.

«Benvenuto nel nuovo mondo», ha twittato Ben Huh (che sarebbe questo personaggio) salutando l'arrivo di De Rosa. Un mondo sempre più mobile, nel quale un quarto dei possessori di tablet, per esempio, comincia a preferire la lettura in digitale piuttosto che sui vecchi formati, e nel quale «nessuno legge articoli da 3000 parole sul proprio telefono» - ha sintetizzato De Rosa su AdAge. «Sul mobile è necessario essere concisi», ha continuato, spiegando che, in un certo senso, la rivoluzione contenutistica portata da Twitter sta influenzando le esigenze degli utenti e quindi della news industry, costretta ad adattarsi a questo modello e a riscrivere la struttura base del format-notizia. Ma non è tutto: nel futuro del nuovo Circa c'è anche il progetto della produzione di contenuti originali, come a voler entrare prepotentemente in concorrenza con i media tradizionali. E l’acquisto di una personalità di peso come quella di De Rosa non può che esserne una conferma.

Dove metto il mio articolo?

L’addio di De Rosa a Reuters ha portato il direttore del settore digitale di Knoxville News Sentinel Jack Lail a chiedersi se il giornalismo abbia ancora bisogno della forma-articolo per esprimersi, o se questa abbia o meno un futuro. Questa settimana Mathew Ingram affronta l'argomento su PaidContent in un post dal titolo: «The new writer’s dilemma: You wrote something really great — now, where do you put it?». La tesi del pezzo richiama il tema della proliferazione delle piattaforme di publishing, che permettono di spalmare i propri contenuti, a seconda della loro forma, su diversi strumenti. Non si tratta più solo di scrivere e decidere il media giusto - cosa un tempo impensabile - ma di modulare la propria scrittura in base al mezzo che poi lo ospiterà, per contenuto, lunghezza, audience. Jeff Jarvis, per esempio, ammette di essere impressionato dall'eleganza e dalla struttura di Medium, e di sentirsi condizionato in fase di scrittura, rileggendosi ‘diverso’ quando decide di scrivere per la piattaforma di Ev Williams.

Proprio in queste settimane Medium sta aumentando la sua presenza in rete con contributi spesso in grado di richiamare attenzione e generare dibattiti. Si tratta della piattaforma nata a fine 2012 da un’idea dell’ex co-fondatore di Twitter Williams che permetterà (è ancora in beta e su invito) a chiunque di proporre i propri articoli, basandosi su un’opera di selezione e curating di una serie di contributi ‘ragionati’ (“With Medium, Twitter Cofounder Evan Williams Wants To Save You From Twitter” - FastCompany). Sull'argomento "Dove pubblicare il proprio articolo" è intervenuto in questi giorni anche Felix Salmom sulla Columbia Journalism Review, citando proprio la sua esperienza su Medium. Salmon parla di «promiscuous media» e dell’urgenza di adattare il proprio prodotto al mezzo, una capacità da apprendere attraverso l'esercizio continuo e che fa di chiunque scriva in rete dei curator. Una necessità di mercato, che porterà a un ecosistema mediatico più fluido - e a figure redazionali più duttili - nel quale avrà la meglio chi saprà presentarsi in modo più ‘elastico’ di fronte a queste esigenze: «Let content live where it works best».

Competere con Twitter: FastFT e Fre.sh

Quando ci si trova davanti alla decisione di un grosso nome dei media tradizionali come De Rosa, e all'evoluzione delle figure redazionali e della produzione giornalistica in senso stretto, si parla evidentemente di segnali che lasciano pensare che Twitter, in qualche modo, abbia segnato il presente dell'informazione e intenda influenzarne il futuro. Pur non intendendo però farsi news organization, quanto attestarsi come piattaforma essenziale per la presenza online delle testate e in grado di condizionarne il lavoro: un processo simile al passaggio obbligato in tipografia della vecchia stampa, azzarda Michael Wolff sul Guardian, che ha configurato per decenni il modo di pensare, presentare e ‘stendere’ le notizie. La differenza sostanziale, nel paragone citato da Wolff, è che col nuovo ‘capitalismo digitale’ si è imposta la caratteristica della monopolizzazione delle funzioni sotto un solo marchio, una tendenza che rinchiude il mercato di un servizio a uno specifico brand (Twitter, Google, Amazon). Col risultato che esistono tante ‘stampanti’, tante ‘tipografie’, tanti tipi di ‘carta’ sulla quale stampare i vecchi giornali, ma che per fare le cose come e con Twitter bisogna stare su Twitter e contribuire in qualche modo alla sua crescita (come già accennato, «Every reporter works for Twitter»).

«We’re the platform for global information distribution for the people, by the people», ha spiegato il CEO Costolo in settimana. «Non vogliamo sostituire i media», ma integrarci al loro lavoro diventando essenziali. Non a caso in questi giorni la società ha portato a casa accordi con content provider di peso come Time, Bloomberg, Vevo, Condé Nast e il quotatissimo Vice Media, come a dimostrare che per i gruppi editoriali è necessario giocare con le regole di San Francisco, pena l’esclusione dal futuro dei contenuti in rete. Gli esperimenti alternativi, tuttavia, non mancano: in quelle stesse ore infatti venivano varati i nuovi progetti di Financial Times e BuzzFeed, FastFT e Fre.sh. Si tratta di due piattaforme indipendenti dalle testate-madri che ripropongono in maniera piuttosto essenziale articoli interni e esterni: link, titolo, breve sommario, aggiornamenti in diretta, in un processo che punta alla velocità (per quanto riguarda il prodotto del FT) e all'aggregazione in base agli hot topic (quello di BuzzFeed). Come Twitter, ma con più contesto - e qualche carattere in più - ha sintetizzato Jeff John Roberts su PaidContent.

Una rimodulazione del concetto di notizia per entrare in competizione con il social network, su un campo di battaglia che non è più solo quello del giornalismo. Così come la figura del social media editor sembra non essere più solo quella del semplice specialista delle reti.