Clima e migrazioni di massa: come contrastare la nuova emergenza della fame nel mondo?

Ore 12 – Sala del Dottorato

Massimiliano Coccia (Radio Radicale), Laura Hart (Partito Radicale Transnazionale), André Gattolin (senatore En Marche!), Abdirahman Mahdi (Etiopia, co-fondatore Ogaden National Liberation Front), Mona Silawi (Iran, Unrepresented Nations and People Organizations), Vittorio Alberti (filosofo politico e giornalista Huffington Post)

Il panel si svolge a partire dalle ore 12 di sabato 14 aprile nella Sala del Dottorato.
Dopo l'introduzione, a cura di Massimilano Coccia, prende parola Laura Hart: viene presentato il Partito Radicale Transnazionale, ONG che riunisce persone di diversi paesi e da tempo lotta per la tutela dei diritti civili e la salvaguardia della democrazia, “unica condizione in cui i cambiamenti possono avvenire”.
André Gattolin, dunque, riparte dal cosiddetto Manifesto-appello dei Premi Nobel (pubblicato il 24 giugno 1981 su iniziativa del Partito Radicale) per considerare la validità del messaggio a quasi 40 anni di distanza, quando molte condizioni politiche, economiche, sociali, ambientali sono cambiate a livello globale. L'appello, rivolto ai governi e ai mass media, era la risposta degli uomini di scienza all’indifferenza rispetto alle spaventose cifre che annunciavano la morte certa di milioni di persone, per fame, nel Sud del mondo. Allora si trattava di un problema di tipo politico, risolvibile con il ricorso alla democrazia e allo stato di diritto; oggi, sono aumentati gli aiuti (come confermano i due relatori provenienti da Etiopia e Iran), ma spesso sono mal gestiti e convogliati nelle mani di chi non ha interesse ad amministrarli.
È vivo l'allarme, inoltre, di una crisi migratoria causata dai cambiamenti climatici: si prospettano flussi di migrazione interni ai paesi stessi (a causa dell'aumento del livello dei mari, ad esempio), che presumibilmente sfoceranno in concorrenze interne e guerre civili.
Si dice d'accordo con la lettura Mona Silawi, che racconta come, in Iran, la maggior parte delle crisi si sviluppi in regioni di confine, non nelle grandi città; benché spesso si registri l'interessamento di esperti occidentali, ci sono molte aree del territorio iraniano presso le quali gli osservatori europei non vengono nemmeno portati. È il caso di zone in cui il rischio di carenza idrica e siccità è elevatissimo, o aree come il Kurdistan, che è cosparso di mine, e andrebbe bonificato. Senza menzionare il fatto che in Iran esistono cinque minoranze che, riunite, costituiscono il 70% della popolazione, a fronte del 30% persiano rappresentato dal governo.
Anche Abdirahman Mahdi racconta che spesso, in Etiopia, gli aiuti occidentali falliscono a causa di una cattiva gestione, da parte di uno stato che non rispetta i criteri di equità, inclusione, trasparenza e responsabilità: sarebbe opportuno un modello analogo a quello che, nella seconda metà del Novecento, ha permesso all'Europa di riprendersi grazie agli aiuti degli Stati Uniti.
Conclude il panel Vittorio Alberti, richiamando l'attenzione sulla necessità di rivisitare, riattualizzare l'appello lanciato dai Premi Nobel nel 1981. Oggi, che si è persa l'idea di “progresso”, occorre procedere ad una rilettura culturale, che permetta poi un'azione politica (nazionale e transnazionale). È necessario tenere conto dello sviluppo umano in tutte le sue sfumature, uscendo dal moralismo: in questo senso, un ruolo chiave, spetta proprio all'informazione.

Rebecca Mellano