Diritti umani: i linguaggi della comunicazione

Iran e Russia come paesi simbolo della violazione sistematica dei diritti umani e della libertà d'informazione, dove le carceri sono piene di giornalisti, considerati un pericolo – con le loro domande e le loro inchieste – per il regime. Ma anche paesi simbolo di come il giornalismo, «a seconda delle scelte che fa, può contribuire a migliorare la situazione o a peggiorarla». A suggerire la sintesi è Riccardo Noury, direttore di Amnesty International Italia.

A raccontarci perché Iran e Russia non sono paesi per giornalisti, ma al contempo paesi dove il giornalismo – il buon giornalismo – può fare la differenza, sono Emilio Casalini, giornalista rai e autore del documentario Iran about, Reza Ganji, fotoreporter costretto a lasciare l'Iran per non finire nelle carceri di Ahmadinejad, e Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto, rispettivamente sceneggiatore e disegnatrice del fumetto-biografia su Anna Politkovskaja.

Emilio Casalini, per girare il suo documentario sui giorni della cosiddetta Onda Verde – il movimento nato nell'estate del 2009 che denuncia i brogli elettorali di Ahmadinejad ai danni del candidato riformista Mousavi – in Iran c'è proprio stato di persona. Perché, dice, «è importante che il giornalista vada nei posti dove è difficile andare», è un'importanza «quasi etica». A Teheran ha intervistato ragazze e ragazzi istruiti, che parlano un inglese impeccabile e che comunicano con il mondo attraverso la rete e i social network.

Ed è proprio il web il nemico principale della teocrazia iraniana, perché permette di diffondere per il mondo informazioni, idee e immagini, come tanti piccoli virus che potrebbero minare la stabilità del regime. Molti blogger iraniani sono stati citati dalla stampa mondiale e, per questo, vanno fermati: sia con gli arresti che con le manomissioni della rete. «Il regime – racconta Reza Ganji – ha una vera e propria milizia di hacker, che lavorano per non far funzionare internet»: bloccano twitter, cancellano blog, fanno di tutto per tamponare questa emorraggia di notizie. «La guerra vera è la guerra dell'informazione e del controllo dei canali d'informazione».

Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto, invece, hanno deciso di raccontarla con il linguaggio del fumetto, la storia di Anna Politkovskaja. Perché il fumetto – spiegano i due autori – permette di «ricostruire in modo attendibile quello che, altrimenti, le parole lascerebbero in sospeso» e perché è uno strumento potente, che può «arrivare in maniera diretta al pubblico», tanto che il libro lo hanno letto anche ai bambini delle elementari.

In conclusione, i giornalisti si confermano come centrali nella difesa dei diritti umani, perché, dice Reza Ganji, «più la comunicazione aumenta nel mondo, più possiamo dare l'informazione giusta e più è difficile che i diritti umani vengano violati».

Sara Ligutti