Diversità e competenze trans-culturali nel giornalismo: un’opportunità creativa

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Esiste davvero la democrazia all’interno dei media mainstream? Le loro scelte influenzano la percezione di chi ha diritto a parlare? E infine chi ha diritto di parola? Questi i temi delicati affrontati da Nadia Bellardi consulente per la comunicazione interculturale, Mukti Jain Campion regista e collaboratrice della Bbc, Kate Coyer del Central European University, Marina Lalovic di Rai Radio 3 e Larry Macaulay fondatore e direttore di Refugee Radio Network nel panel dedicato al multiculturalismo nel giornalismo.

Quanto spazio viene assegnato alle minoranze all’interno dei media nazionali? Decisamente poco se si prendono in esame alcuni dati legati alla rappresentazione delle minoranze all’interno dei media del Regno Unito dove il 94% dell’industria mediatica è formata da persone bianche con una imbarazzante minoranza di donne e dove solo il 15% degli articoli che parlano di rifugiati riportano le opinioni dei protagonisti contro l’85% che esclude a priori la prospettiva dei migranti.
In questa situazione svolgono un ruolo assolutamente fondamentale i community media ovvero i media creati e gestiti a livello locale. Definiti dall’UNESCO “media gestiti dalla comunità,  nella comunità e per la comunità” e dal Consiglio d’Europa fondamentali per il loro valore intrinseco nel promuovere la coesione sociale, i media locali rappresentano secondo Kate Coyer un’importante materia di studio.
Nel processo di costruzione di una radio comunitaria sono tanti gli aspetti importanti: l’attenzione alle minoranze, l’aspetto geografico, i contenuti che si differenziano da quelli tipici del mainstream, ma soprattutto la capacità di promuovere attraverso un progetto mediatico una profonda coesione e attivismo all’interno della stessa comunità destinataria e creatrice del programma.

La radio dunque come veicolo principale con cui dar voce a chi altrove non c’è l’ha, per dare una voce alle minoranze. Questo l’obiettivo e il fine di Refugee Radio Network la radio fondata nel 2014 ad Amburgo da Larry Macaulay insieme con due rifugiati. Si tratta del primo progetto realizzato da e per i rifugiati, un mezzo necessario secondo Macaulay per evitare che “siano gli altri a raccontare le storie che parlano di noi” e quindi per avviare un processo di decostruzione della narrazione dei media nazionali rispetto alla crisi dei rifugiati. “In un momento storico come questo in cui la comunicazione è fondamentale – conclude Macaulay - l’obiettivo della nostra radio è dare voce agli emarginati”.

Cosa significa invece fare giornalismo in Italia per una giornalista straniera ce lo spiega Marina Lalovic,  giornalista serba di Rai Radio 3 e conduttrice di una serie di programmi legati al tema del multiculturalismo e del  trans-culturalismo. “La radio rappresenta il medium principale per mettere in atto dei processi di inclusione, concentrandosi più sul contenuto che non sull’aspetto fisico e dunque sulle possibili diversità, rappresenta per questo lo strumento più semplice per superare i pregiudizi”.
Parlare di interculturalità oggi, secondo la Lalovic, è fondamentale soprattutto in ambito giornalistico ed è necessario che anche i media nazionali lavorino in questa direzione.
Due gli esempi legati all’attività di Rai Radio 3: il programma “Tutti stranieri” che dà la possibilità ai tanti giornalisti stranieri che lavorano in Italia di occuparsi non necessariamente dei propri paesi d’origine in qualità di corrispondente; e il programma “Radio 3 Mondo” che si occupa di affari esteri e che mostra agli ascoltatori la dimensione multiculturale e internazionale del giornalismo italiano.

Quali sono dunque le voci che dobbiamo ascoltare e qual è il ruolo dei media mainstream? Secondo la registra Mukti Jain Campion ogni storia ha il diritto di essere scoperta e raccontata e soprattutto risulta importantissimo il ruolo che svolgono le emittenti pubbliche nel creare il senso d’appartenenza nel pubblico che per essere davvero inclusivo non può escludere quelle voci che rappresentano la maggioranza della società civile.
"Nei miei documentari cerco ogni volta di raccontare storie che non vengono mai raccontate e parlare di persone che possono rappresentare dei ponti culturali per la comunità locale e nazionale”.
Tanti i protagonisti dei video prodotti dalla Culture Wise della Campion: la comunità ebraica, indi, disabili o la minoranza cinese. Ogni storia rappresenta secondo l’autrice una finestra aperta sul proprio mondo, la propria comunità e quotidianità.

“La mia creatività nasce dal trovarmi sempre in luoghi nuovi che non conosco” diceva David Bowie e dunque le competenze trans-culturali e interculturali possono rappresentare davvero un’opportunità creativa unica per il giornalismo europeo e non solo?
La risposta sembra scontata.

Strollo Coricina