Per andare contro le fake news e combattere fenomeni di corruzione uno strumento fondamentale per il giornalista ma anche per il semplice cittadino è il Freedom of Information Act (abbreviato in FOIA). Un seminario per comprendere come si può usare questo nuovo strumento, quali sono le opportunità, quali i limiti si è tenuto nel pomeriggio nella Sala Priori dell’Hotel Brufani. «La società digitale – ha detto Fernanda Faini, presidente del circolo dei Giuristi Telematici – permette a tutti di conoscere in modo più rapido, e quindi è normale che anche il nostro ordinamento sia dovuto cambiare e adeguarsi a questo nuovo tipo di accesso ai dati pubblici». Il cambiamento è molto rilevante. Ci sono due riferimenti: uno è il codice dell’amministrazione digitale, l’altro il decreto legislativo 33 del 2013, modificato dal decreto legislativo 97 del 2016. Mentre nel 2013 si è fornita alla collettività la possibilità di controllo sulla trasparenza dei dati da parte della pubblica amministrazione, nel 2016 si è previsto l’accesso civico generalizzato. Questo principio è funzionale ai valori costituzionali e permette di avere in visione i documenti della pubblica amministrazione sposando trasparenza con apertura. Se si voleva avere accesso a dati che la pubblica amministrazione non fornisce, sino al 2016, occorreva avere una legittimazione soggettiva, cioè avere un collegamento con quel procedimento a cui si era interessati. Da molte associazioni italiane è stato richiesto che la normativa italiana si uniformasse a quelle di altri paesi, approdando a un vero e proprio Freedom of Information Act. Con il nuovo decreto legislativo «deve essere l’amministrazione a negare un documento e spiegare perché e non il cittadino a motivare perché vuole consultarlo». Se non lo concede, l’amministrazione deve esprimere una motivazione congrua e completa. L’istanza alla pubblica amministrazione è gratuita e può essere presentata in via tradizionale o telematica. Ci sono eccezioni per le quali il diniego si rende necessario: ciò avviene quanto i documenti riguardano la sicurezza pubblica e l’ordine pubblico, la sicurezza nazionale, la difesa e la questioni militari ma anche i dati sensibili di persone terze. I dati che l’amministrazione pubblica fornisce possono essere riutilizzati da chi li ottiene. Claudio Cesarano che lavora per l’ong “Diritto di Sapere” ha poi spiegato come concretamente si può presentare l’istanza, a chi deve arrivare e come la deve gestire. Lo stesso ha fornito anche alcuni esempi, come la richiesta effettuata alle aziende dei trasporti di Milano, Torino, Roma e Napoli di conoscere i reclami inoltrati dall’utenza su una singola linea. Torino e Napoli hanno fornito dati e corrispondenza, Roma non ha risposto, Milano ha negato il consenso. La stessa legge quindi viene applicata in modo diverso da luogo a luogo. Ma questo è solo uno dei tanti cai studiati. “Diritto di sapere” ha infatti promosso un vero e proprio monitoraggio per verificare se questo strumento, entrato a regime il 23 dicembre 2016, funziona. Il monitoraggio, che ha contato ben 800 casi, è stato compiuto grazie a 56 tra attivisti, cittadini e giornalisti e ha visto la collaborazione di tante associazioni italiane. I risultati di questo report saranno esposti in un panel previsto sabato alle 10,30 all’Hotel San Gallo.
Claudio Staiti