Giornalismo, orrore e propaganda

Giornalismo, orrore e propaganda è stato il tema del panel discussion tenuto da Ben de Pear, direttore Channel 4 News, Chis Hamilton, direttore social media BBC News, Mark Little, fondatore e CEO Storyful e Claire Wardle, co-fondatrice Eyewitness Media Hub, nel centro servizi G. Alessi alle ore 18.
Al centro della discussione c’è stata l’importanza del giornalismo come mezzo per separare le news dall’eco di terrore, quale conseguenza della trasmissione dei video di estrema violenza, come quelli dell’ISIS.
Secondo Ben de Pear sono da censurare, senza però assumere questa idea come posizione assoluta, ma valutare caso per caso. Se c’è un messaggio importante, è necessario informare. ‘Bisogna trovare un punto di equilibrio tra propaganda e informazione’.
Posizione diversa è quella espressa da Chris Hamilton, dove solo i primi video sono stati trasmessi dalla BBC. Il direttore ha posto attenzione al contenuto caricato dai vari utenti che per la sua stessa natura è ingestibile, ma se da un lato gli riconosce il positivo impatto dilagante nella diffusione delle notizie, dal punto di vista emotivo è da studiare e da analizzare con una certa sensibilità. Infatti, in redazione ‘ siamo consapevoli delle conseguenze che la visione provoca sui nostri giornalisti, proprio per questo c’è un team che gestisce in termini di counseling la reazione post visione di questo tipo di materiale’.
‘Il direttore generale- continua- in merito proprio a questo aspetto inviò l’anno scorso una comunicazione ai giornalisti dove spiegava il non obbligo a visionare i video. Ma, questo fa parte del nostro lavoro, per cui nonostante il messaggio non ci si può sottrarre’.
Infatti, lo studio di Feinstein dove vengono confrontati gli effetti sulle persone in redazione e quelle sul campo tende ad avallare l’esistenza dell’effetto patologico sulle persone che hanno fatto questo lavoro certificando il disturbo da stress post traumatico’.
Secondo Claire Wardle, invece, considerando i contenuti presenti nei mass media risulta fondamentale ‘etichettare i video’, altrimenti si corre il rischio di scadere nella propaganda. In questo modo, si riesce a distinguere le immagini fatte da determinati gruppi e quelli, invece, frutto di lavoro della redazione.
Questa discussione ruota intorno a una domanda: come gestire il momento della morte?
Per la gravità dell’evento risulta quasi imprescindibile tenere sessioni informative, ma gestire tutto il materiale che proviene da testimoni oculari è impossibile.
L’avvento, invero, della telefonia mobile ha ridotto chi ne fa uso a mezzo passivo di registrazione degli abusi dei diritti umani.
Un’amara riflessione alla base di questo discorso è che l’eco della propaganda è stato in qualche modo manipolato, nonostante questo non si può decidere di non trasmettere i messaggi del gruppo terroristico.
Il ruolo del giornalista, secondo Ben de Pear, è quello di utilizzare i video e le diverse immagini spiegando il contesto generale, tentando, nel contempo, di prendere le distanze dall’organizzazione.
La trasmissione delle notizie non si riduce a ‘ nastro trasportatore’ degli orrori, infatti l’umanizzazione della vittima avviene attraverso la sua identificazione.
Si restituisce, in questo modo, dignità a quel momento frutto di terribile orrore e violenza.
Mark Little ha specificato che nei confronti dei ‘nastri trasportatori’, il giornalista ha una responsabilità dettata dal suo codice etico.
Dalle diverse posizioni emerse, il tavolo di discussione si è chiuso riconoscendo il ruolo ‘vitale’ del giornalista, in questo periodo storico dove, è vero che i mezzi agevolano l’informazione, ma vi deve essere il filtro del professionista per contestualizzare.

Maria Rosaria Cardenuto