Sala Lippi, ore 12.00
La rete diventa strumento di democrazia, quando rappresenta l’unico mezzo con cui trasmettere notizie, fa conoscere al mondo situazioni sottaciute dai regimi, diffonde informazioni censurate. La rete però diventa anche strumento di controllo, strumento investigativo, strumento dei regimi. Due le facce di una stessa medaglia, che dà e toglie attraverso la sorveglianza elettronica e informatica.
Tutti i più grandi paesi del mondo sono forniti o si stanno fornendo di sistemi in grado di controllare i traffici informatici. L’India, ad esempio, sta predisponendo programmi sulla sicurezza digitale di massa, così come l’Arabia. Singolare che, ad acquistare sistemi di controllo super sofisticati siano i paesi democratici non solo occidentali. Sotto l’occhio indagatore degli hacker anche i social network, protagonisti assoluti della Primavera Araba, strumenti in grado di diffondere in pochi click immagini, video e notizie.
Lo spiega bene Giovanna Loccatelli, giornalista e scrittrice, impegnata da molti anni in Medio Oriente: “La sorveglianza elettronica è usata dai regimi ma anche dalle democrazie di tutto il mondo. Società europee e americane vendono hacker di sorveglianza per controllare gli utenti. Interessi privati, delle aziende che forniscono queste tecnologie, s’intrecciano con interessi pubblici, con la vita delle persone e in particolare con il lavoro dei giornalisti, che spesso non possono accedere a documenti importanti o ancor peggio vengono spiati online”.
L’attivista siriano Dlshad Othman, in videoconferenza, lamenta questa limitazione messa in atto dalla sorveglianza virtuale: “Spesso per reportage e servizi, vengono usati i cellulari perché sono mezzi rapidi di comunicazione, ma i regimi riescono a controllarli molto facilmente e, attraverso questi, sorvegliare tutto il traffico di informazioni e notizie”. Giovanna Loccatelli racconta di come dopo la rivoluzione egiziana del 2011, un’attivista aveva recuperato il contratto di una società che aveva venduto un programma di sorveglianza che hackerava le mail e gli account ai social network dei dissidenti: “Si tratta di un argomento che ancora stenta ad attrarre l’attenzione, e che sta diventando interessante solo di recente. Durante le primavere arabe moltissimi paesi, non solo l’Egitto, hanno avuto rapporti con società europee che hanno fornito loro programmi di sorveglianza elettronica. Basti pensare alla Libia, dove la dittatura di Gheddafi ha controllato i dissidenti ma anche i giornalisti e i politici proprio attraverso la rete”.
A tal proposito, WikiLeaks ha pubblicato qualche tempo fa un elenco con i nomi di tutte queste società informatiche, evidenziando come 170 di esse abbiano rapporti di lavoro con oltre 25 paesi nel mondo. Si tratta aziende in grado di fornire prodotti sofisticati capaci di spiare gli utenti, copiare o modificare i dati presenti nei loro supporti elettronici. La contraddizione, solo apparente, sta nel fatto che l’Occidente fornisce all’Oriente strumenti “antidemocratici”, che i regimi sfruttano per limitare e spesso violare la libertà di manifestazione del pensiero e di diffusione dell’informazione.
Al giornalista, ancor prima di dare una notizia, spetta il compito di proteggere se stesso e le proprie fonti. In un momento in cui i video, i post e persino i tweet vengono utilizzati come prove e inseriti negli atti di indagini durante processi, la sicurezza informatica diventa indispensabile. “Per salvaguardare i dati ci sono molti trucchi-spiega Dlshad Othman- come l’utilizzo di linguaggi criptati. In Siria esiste un vero e proprio esercito elettronico, un gruppo di persone che hanno usato Facebook per captare la situazione e il pensiero delle persone; alcuni facevano informazione altri negavano e dopo l’esplosione della guerra civile il regime ha deciso di sfruttare questo canale per rintracciare gli attivisti. È stato difficile seguire tutti, ma la consapevolezza del tema era forte, perciò si è cominciato a puntare su tecnologie in grado di hackerare i siti locali e i media occidentali. Hanno hackerato tantissimi account Twitter”.
Difficile capire l’impatto di queste tecnologie sulla vita delle persone e sulla loro privacy, di cui non si conosce il numero e l’entità delle violazioni. Ci sono pochissime notizie sul giro d’affari, sulla grandezza del fenomeno, su eventuali regole che ne dovrebbero limitare gli abusi. Ma la rete che combatte il regime è un dato di fatto, dice ancora Othman: “Credo che la libertà di espressione sia una delle questioni per cui il popolo siriano sta combattendo e non è un mero obiettivo politico, bensì un’aspirazione universale. Questa libertà è un elemento fondamentale per ambire a un futuro migliore”.
Mariateresa Totaro