Hina. Questa è la mia vita

Integrazione, conflitti generazionali, retaggio culturale ed integralismo religioso sono solo alcuni dei temi affrontati oggi, domenica 17 aprile, durante la presentazione del libro “Hina”, frutto della collaborazione fra Giommaria Monti, autore televisivo per Annovero, e Marco Ventura, giornalista e scrittore.

Il dichiarato intento dei due autori nello scrivere questo libro è raccontare una vicenda umana ed emblematica che non riguarda solo l’Italia ma tutti i paesi: si tratta della storia di Hina Saleem, la ventenne pachistana uccisa dal padre e dagli zii in provincia di Brescia cinque anni fa. Il fatto che Hina avesse assunto comportamenti complessi, legati parzialmente alle cattive frequentazioni ed alle esperienze con la droga, ha causato una serie di conseguenze quali la diffamazione presso la comunità pachistana e la vergogna dei familiari, che hanno portato alla tragedia.

Il libro è il risultato di un lavoro di ricerca, ricostruzione psicologica, studio dei documenti processuali e delle testimonianze più svariate, che ha portato alla raccolta di moltissimo materiale, in modo da non lasciarsi influenzare eccessivamente da posizioni ideologiche personali.

Difatti risulta particolarmente facile per chi scrive e chi legge una simile notizia “cadere” in categorizzazioni e generalizzazioni relative alla religione e all’ignoranza, considerate cause di una chiusura mentale che può condurre fino ad estremismi atroci. Ma, ci tengono a sottolineare i due scrittori, un giudizio di questo genere è troppo sbrigativo e superficiale, non tiene conto di altri fattori sociologici e culturali: la religione è solo un ingrediente,ma non si tratta propriamente di un delitto religioso, in quanto una ragazza come Hina, arrivata in Italia quando aveva 13 anni, è stata vittima del retaggio culturale del suo paese di provenienza, di un’ abissale distanza generazionale e della mancanza di integrazione nel paese di arrivo. In effetti, la prospettiva assunta da Monti e ventura è quella di una storia che è accaduta ad una ragazza, ma che solo in parte ha a che vedere col fatto che è pachistana oche la sua famiglia è musulmana; basti pensare che il titolo iniziale del libro doveva essere semplicemente “Storia di una ragazza”, come a voler sottolineare che poteva anche accadere qui da noi in Italia, per lo meno fino a qualche anno fa. A questo proposito è interessante l’esempio di Marco Ventura che cita il film “Racconti da Stoccolma”: ambientato in Svezia, parla della violenza sulle donne, raccontando una storia identica a questa, in cui, alla fine si scopre che la famiglia pachistana è di religione cristiana, ma ha commesso l’atroce omicidio della figlia Nina, adeguandosi allo stesso antico concetto dell’onore e della rispettabilità; valori, quindi, non per forza appartenenti esclusivamente alla cultura islamica.

C’è, inoltre, un altro aspetto da considerare di stampo culturale e sociologico, cioè la sacralizzazione dell’inferiorità della donna che, se da un lato comporta un atteggiamento di rispetto ed ossequio nei suoi confronti, dall’altro causa posizioni di gelosia estrema, possesso e segregazione da parte dell’uomo. Tale gerarchia tra i sessi non può considerarsi un fenomeno del tutto religioso, tanto meno del tutto islamico se, come ci ricordano gli scrittori, teniamo conto che in Italia l’adulterio da parte della donna è stato considerato reato fino al 1968 punibile con la reclusione fino a due anni mentre il delitto d’onore è stato abolito solo nel 1981.

La discussione, durante il dibattito, si sposta anche sulle ultime dichiarazioni di molti leader politici europei che sembrano giudicare l’integrazione come un esperimento fallito, tematica questa quanto mai attuale se consideriamo che proprio oggi la Francia (tanto per fare un esempio) ha deciso di chiudere le vie ferroviarie per i treni provenienti dall’Italia che trasportano decine di profughi libanesi in fuga dalla guerra.

Chiara Vero