Le immagini di violenza sono la forma più potente di comunicazione dei conflitti, ma nonostante questo il fotogiornalismo è in crisi. Qual è la giusta risposta morale, economica e giornalistica dei fotografi davanti alla complessità dei conflitti di oggi? Quel’è il futuro delle immagini nell’era del citizen journalism digitale? Questi sono stati i punti salienti della discussione tenuta stamattina presso l’Hotel Brufani da Diego Buñuel, del National Geographic Channel e Laith Mushtaq, di Al Jazeera. Ha coordinato l’incontro Alfredo Macchi, inviato Mediaset.
Una foto o un filmato riescono ad emozionare e a far riflettere nel modo più semplice in assoluto, donando l’eternità alle immagini. Ci offrono uno spaccato della realtà e spesso, purtroppo, vengono manipolate a fini politici e militari. I governi di ieri e di oggi, con foto e video preconfezionati, hanno sempre spostato il focus dell’attenzione su determinati obiettivi, tralasciandone altri. A volte queste immagini sono il frutto di un meticoloso lavoro di fiction e montaggio. Insieme a questi stratagemmi tecnologici si cercava, e si cerca, di rendere inaccessibile le aree dei conflitti. I giornalisti vengono relegati in alberghi lontani chilometri e chilometri dalle zone calde.
Esistono due tipi di immagini: quelle militari e quelle autonome. Queste ultime comportano dei rischi molto alti e spesso non è facile fare il fotogiornalista. Nelle ultime guerre non esistono fronti specifici, non si riescono ad individuare i nemici, tutto è precario e muoversi e viaggiare diventa complicato se non impossibile. In questo senso anche la visione completa di un avvenimento ne risente.
Una cosa è certa: alcune immagini rimarranno sempre impresse nella memoria. Basti pensare alla bambina che corre per scappare dal Napalm in Vietnam, all’uomo davanti ai carro armati in piazza Tienanmen e alle foto del carcere di Abu Ghraib. Un mondo senza giornalisti è come una città senza i vigili del fuoco. Nonostante le difficoltà ci deve essere qualcuno che continui a scrivere, filmare e fotografare.
Ilaria Biancacci