Giovani, giornalismo e precariato

Non poteva mancare al festival del giornalismo un dibattito sulla precarietà, passaggio ormai obbligato per chiunque o quasi si affacci a una professione. E problema presente in modo massiccio nel mondo dell’informazione, in cui in partenza ci si muove fra scuole di giornalismo, stage sottopagati o addirittura vero e proprio “volontariato”. Di questo e molto altro si è discusso nell’ultimo degli incontri organizzati da Zai.net, rivista delle scuole superiori italiane. Ospiti Claudio Cerasa, caporedattore de Il Foglio; Stefano Feltri, giornalista di economia per Il Fatto Quotidiano, Roberto Seghetti di Panorama ed Erica Vagliengo, freelance e autrice del libro “Voglio scrivere per Vanity Fair”, storia delle vicissitudini di una giovane giornalista di provincia alle prese con un capo terribile. Un progetto che ha la particolarità di essersi sviluppato prima sui social network e poi in forma cartacea, dando vita a un meccanismo di identificazione molto forte. La prima è parlare è stata proprio la Vagliengo, che ha portato la propria esperienza a tutto campo da freelance  a responsabile di marketing ad addetta stampa a scrittrice a blogger.

Dalle parole di Seghetti è arrivata una testimonianza più matura, quella di una generazione diversa, in cui il giornalista iniziava sì da precario, ma dopo qualche anno di “gavetta” aveva quasi la certezza di un posto in redazione. Oggi, invece, nulla è così scontato e per trovare spazio bisogna avere un grande spessore, una cultura in profondità; non solo la capacità di raccontare un fatto, ma anche di contestualizzarlo e spiegarlo.

Più giovane e fresca la testimonianza di Cerasa, il quale ha raccontato del percorso che lo ha condotto al Foglio, della sua esperienza in un giornale di nicchia più noto per le opinioni che per le notizie. Ha spiegato inoltre che il giornalista dei giorni nostri non deve più solo saper scrivere, ma anche saper realizzare un video, pubblicare un articolo sul web ecc. La parola chiave, insomma, è multitasking. E deve fare proposte, non aspettare che sia il giornale a farle a lui. Oggi lo stage non ha più il sapore di un tempo. Non è un momento di passaggio per capire meglio le proprie inclinazioni, è l’”occasione”. Bisogna arrivarci già convinti e preparati. Determinante l’apporto delle nuove tecnologie sia per gli aspiranti giornalisti, che hanno modo di mettersi alla prova, di offrire un profilo di sé. Sia per i giornalisti professionisti, che possono sfruttare i nuovi media come forme di mediazione col pubblico. Cerasa ritiene poi che sia utile specializzarsi in qualcosa di specifico, appassionarsi e approfondire qualcosa. E secondo lui c’è un ruolo da non sottovalutare nel giornalismo del nuovo millennio, quello dei freelance, una volta considerati giornalisti ribelli e oggi indispensabili in un’epoca in cui i giornalisti sono sempre più pochi e si ha difficoltà a far uscire i giornali. Ma si dovrebbe anche combattere un sistema di scuole di giornalismo che insegnano perfettamente com’è strutturato un giornale, ma trascurano la cosa fondamentale, come si scrive un articolo.

Un’altra voce giovane quella di Stefano Feltri, attualmente al Fatto Quotidiano dopo studi alla Bocconi e diverse esperienze lavorative importanti. Anche Feltri ha ribadito la necessità di un giornalista nuovo, che conosca l’inglese e abbia competenze diversificate. Che sappia distinguersi durante uno stage, portare le proprie idee. Oggi il giornalista ha un lavoro forse meno affascinante, di scrivania, ma che può essere altrettanto appagante.

Insomma cultura, competenza, determinazione: questa la ricetta emersa dagli interventi dei relatori. Sperando che bastino.

Rossella Nocca

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