Il giornale, l’ossatura delle democrazie ai tempi del web
Non è vero che il giornalismo e la carta stampata moriranno a causa del web. Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo Editoriale Espresso, è categorico: «Non solo il giornalismo non è destinato a morire nel XXI secolo, ma sarà sempre più un’infrastruttura portante delle nostre imperfette democrazie».
Introdotto da Massimo Mucchetti, vice direttore del Corriere della Sera, l’editore di Repubblica è intervenuto venerdì mattina al Teatro del Pavone di Perugia, in occasione del Festival Internazionale del Giornalismo. «Un giornale – ha affermato – non può e non vuole vincolare i lettori alla sua opinione, ma può e deve aiutare i cittadini a farsi un’opinione. E lo può e deve fare non solo portando loro le informazioni, ma anche selezionandole e inserendole in un contesto».
Dunque, non bisogna temere che la funzione di mediazione svolta dai giornali non sia più necessaria: proprio in un periodo in cui milioni di informazioni viaggiano disordinatamente nella rete c’è bisogno di un buon giornalismo, capace di selezionare, ordinare, interpretare e proporre ai cittadini una rappresentazione della realtà il cui scopo non sia semplicemente informare, ma rendere più consapevoli i lettori. Questa idea di giornalismo nasce dal timore dell’editore che la moltiplicazione dell’informazione sul web si traduca semplicemente in un rumore di fondo da cui possono emergere le peggiori leadership populiste.
Ciò non significa, comunque, che il giornalismo non debba cambiare. Mentre un tempo si cambiava il modo di fare giornalismo ogni 50 anni, oggi la nascita di nuove tecnologie e nuovi strumenti impone un mutamento ogni due anni. La parola chiave per non soccombere diventa così “innovazione”: un’innovazione, però, che non può prescindere dalla necessità di affidarsi a giornalisti intellettualmente preparati e capaci di gerarchizzare le notizie. «Un tempo – ha detto De Benedetti – il giornalista doveva scovare le notizie; oggi il suo ruolo è più quello di selezionarle», così che possa continuare a svolgere quel ruolo di «cane da guardia del potere», necessario per assicurare la salute della democrazia.
Secondo l’editore torinese, il giornalista deve mantenere una certa indipendenza intellettuale, non adeguandosi troppo al mainstream editoriale: «Dovrebbe tenere un piede fuori e uno dentro, onde evitare di diventare una semplice propaggine del proprio editore».
Per quanto riguarda invece il web, De Benedetti lo reputa un’importante mezzo che i giornali possono e devono sfruttare per costituire delle “isole di informazione” che garantiscano la rilevanza e la qualità della notizia, in opposizione alla miriade di informazioni destrutturate che si trovano sul web.
Insomma, dietro il Gruppo Espresso c’è un’impresa editoriale conscia della propria identità, che – in quanto impresa – mira al profitto, ma anche a portare avanti una particolare «visione del mondo e del proprio Paese, in nome di quella che Piero Gobetti chiamava “una certa idea dell’Italia”».
Enrico Santus