Il diritto alla libertà di espressione, costituzionalmente garantito dall’articolo 21 può subire alcune limitazioni? La sottigliezza dei confini tra diffamazione online, satira, parodia e libertà d’espressione si marca sempre di più con l’esponenziale crescita di importanza del web e in particolar modo dei social network. L’avvocato Marcello Bergonzi Perrone, nella Sala dei Priori dell’Hotel Brufani, giovedì 7 aprile, ha raccontato in che termini in quanto fruitori del web, dal punto di vista legale, siamo tenuti a confinare la nostra libertà di espressione al fine di tutelarci e tutelare gli altri individui.
La libertà di esprimersi subisce restrizioni quando lede i diritti altrui. Offendere e quindi diffamare è un esempio concreto di lesione di un individuo. L’art 595 del codice penale si occupa proprio di diffamazione e sancisce che, se l’offesa alla persona viene recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena prevista è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516 . L’avvocato Perrone ha portato in esempio un caso sempre più frequente nel mondo dei social che per la legge si configurano come "qualsiasi altro mezzo di pubblicità": le numerosissime pagine facebook che generano contenuti infamanti, al solo scopo di incrementare gli introiti grazie all’aumento dei click. Famoso l’articolo divulgato da Catena Umana in cui venivano sporcate le figure di Greta e Vanessa, le due volontarie rapite in Siria nel 2014. “Abbiamo preso un articolo esistente e abbiamo aggiunto 5 parole”. Perrone ha citato le dichiarazioni della pagina Facebook, che è riuscita, grazie a questo eclatante esempio di diffamazione a ricavarne guadagni corposi. E questo è solo uno dei tanti esempi che fanno da fondamenta al business delle bufale online.
Perrone ha presentato altri due casi in cui Il giornalista o chiunque promulghi contenuti via web può trovarsi a camminare sul filo della legalità: nella critica o nella satira. Nel caso della critica, nel commentare il fatto è necessario specificare come si stia divulgando un pensiero esclusivamente personale in modo da non indurre il lettore a prenderlo come vero e comprovato. Per quanto riguarda la satira, si parla di una forma artistica necessariamente sottratta alla verità, parametro fondamentale del diritto di cronaca. Per provocare il riso, la satira ricorre all’iperbole; le è concessa “l’offesa” della persona, alla condizione che non porti al disprezzo dell’individuo preso in considerazione.
Sono molti i quesiti che si sono aperti durante il dibattito. L’uso dei social apre fin troppe possibilità di ledere l’altrui personalità. Se ad esempio nello spazio web riservato ad un blog vengono generati commenti denigratori o offensivi per alcuni individui, a chi deve attribuirsi la responsabilità? Al gestore del blog o direttamente a chi quei commenti li ha prodotti? Perrone ha spiegato come la giurisprudenza non ritenga il provider responsabile. Ci sono però alcune sentenze recenti che hanno imposto ai gestori di alcuni siti di eliminare i commenti denigratori, a dimostrazione di come anche la giurisprudenza si stia adattando al cambiamento di alcune dinamiche in atto nei social.
Giulia Ceccagno