Giovedi 01 Maggio, 16.30-18
Antonella Mariotti, autrice blog “Tutto green” de La Stampa, coordinatrice incontro; Roberto Sensi, policy officer del programma diritto al cibo di Action Aid.
Roberto Sensi espone le origini del land grabbing, o accaparramento di terre- fenomeno che si può far rimontare alla scoperta delle Americhe, ma che oggi differisce per due principali caratteristiche. Da un lato, il contesto di triplice crisi (alimentare, energetica, finanziaria). Dall’altro, le modalità in cui questo fenomeno si articola in un contesto di profonda finanziarizzazione dei mercati mondiali.
Queste due caratteristiche si intersecano nel momento in cui la crisi alimentare fa lievitare esponenzialmente i prezzi, rendendo gli investimenti agricoli estremamente proficui.
Per questo, l’aumento dei prezzi (di cibo ma anche di carburanti) è stato allo stesso tempo causa e conseguenza della corsa alla terra.
Oggi esiste anche un altro elemento: se prima l’equazione agricola consisteva in due elementi, alimenti per gli umani e per gli animali, oggi esistono i cosiddetti biofuels o agro carburanti, prodotti a partire da colture che competono in termini di terra con la produzione di cibo. L’Unione Europea, sotto il quadro delle sue direttive sulle energie rinnovabili e sulla qualità dei carburanti, sussidia la produzione di tali colture al fine di ridurre le emissioni di Co2. Questo è un incentivo enorme ad appropriarsi di migliaia di ettari laddove essi sono meno cari: principalmente in Africa.
Come evidenziato in due casi seguiti da Action Aid (uno in Senegal ad opera dell’impresa italiana Tampieri, ed uno in Cambogia), il problema é che questi investimenti avvengono in territori già sfruttati da popolazioni locali per produzione di cibo su piccola o media scala. Tali investimenti hanno l’effetto di stravolgere questi sistemi socio-rurali, togliendo accesso alla terra e alle risorse inerenti (acqua, legno, biodiversità). In Cambogia ad esempio, l’accordo Everything but arms stretto con l’UE dà accesso preferenziale allo zucchero prodotto in questo paese, e di conseguenza ha innescato dinamiche di espropriazione, sfruttamento e migrazione forzata dai volumi ingenti. Ciò in contrasto non solo con i diritti umani delle popolazioni locali, ma con le normative locali che tutelano l’accesso alla terra sulla base del semplice usufrutto. Confrontata con le gravi violazioni che questo tipo di investimento implicano, l’UE deve prendersi carico della sua responsabilità e congelare tali accordi commerciali.
Altri accordi hanno conseguenze paragonabili: la New Alliance for Food Security and Nutrition (2012), firmata dal G8, investitori privati del calibro di Monsanto, Cargill, Syngenta ed altri grandi nomi dell’industria alimentare, ha già ricevuto il consenso di 10 paesi africani per modificare, fra altre cose, le leggi locali relative all’accesso alla terra, verosimilmente per rendere più facile l’acquisizione da parte di agenti stranieri.
È urgente sottolineare che tutto questo accade ‘legalmente’, nel disprezzo delle norme internazionali che tutelano i diritti umani (il più appropriato da citare è quello al domicilio, che vieta lo spostamento forzato di ogni individuo dalla sua casa), e delle recenti Voluntary guidelines on responsible land tenure, un documento firmato nel 2013 dalla quasi totalità degli stati membri dell’ONU. Queste linee guida che obbligano gli stati alla tutela degli interessi dei loro cittadini sono volontarie, dunque non vincolanti, ma il consenso che hanno incontrato le rende un’espressione della norma internazionale al riguardo.
Non è unicamente una questione di diritti umani o etica internazionale, ma anche di efficienza economica. Bisogna sorpassare il paradigma secondo il quale per risolvere la sfida dell’alimentazione nel mondo, in un contesto di popolazione crescente e risorse scarseggianti, l’unica via siano gli investimenti agricoli su larga scala. I primi investitori, come riconosciuto dalla FAO, sono i piccoli agricoltori stessi (rispetto ai grandi agribusiness, essi investono fino a 10 volte di più). Seguendo una logica di sviluppo, non bisogna investire quei grandi nomi poco rilevanti in termini di ritorni alle popolazioni locali, ma in coloro che sono già presenti con sistemi di produzione sostenibili ed efficaci.
Paola Tamma