Sta cambiando il modo di raccontare le migrazioni e le parole scelte per farlo. Di questo si è parlato oggi 06/04/2017 al panel tenutosi al centro studi Alessi alle 9:30. Quattro ospiti, guidata dalla moderatrice Donata Columbro, hanno affrontato il racconto della migrazione; le giornaliste Marta Cosentino e Marina Petrillo, Yasir Khan, editor digital video di Al Jazeera English e la cooperatrice umanitaria Alessandra Morelli.
L’incontro viene aperto dalla freelance Donata Columbro, che affronta subito il modo con cui i media trattano il tema della migrazione. Generalmente vengono utilizzati due metodi, opposti ma entrambi pericolosi, il primo è di tipo allarmistico e fa leva sulle paure della gente, mentre il secondo usa il pietismo e le immagini forti per arrivare comunque alla pancia degli utenti.
Secondo Marina Petrillo, inviata a Lampedusa, finché non si entra in contatto con storie di migrazione, seguendo famiglie o singole persone, si continuerà a parlare per slogan. “La prima mission – ha continuato la Petrillo – è uscire dagli slogan e riempirli di esperienza“.
Proprio della sua esperienza ha parlato Marta Cosentino, giornalista che si occupa di diritti umani e da anni vive tra l’Italia e Beirut. La Cosentino ha raccontato il mondo dei corridoi umanitari nel suo documentario “Portami via”, dove ha seguito l ‘odissea di una famiglia siriana, rifugiata in Libano, e il loro viaggio verso l’Italia. “L’elemento che credo manchi sempre sia riconoscere un migrante umano quanto noi. – Ha detto la giornalista – penso davvero che le migrazioni siano strettamente legate alla nostra identità, perché gli immigrati di oggi saranno gli italiani di domani e qui vivranno e costruiranno la loro vita”.
Per raccontare la storia di questi “popoli in movimento” Al Jazeera ha codificato un nuovo metodo; “nei nostri video non li chiamiamo più migranti, ma rifugiati” ha spiegato Khan “ chiunque può essere rifugiato, basta che stia cercando di fuggire, per qualsiasi ragione, dalla situazione in cui si trova. Abbiamo cercato di trattare la condizione di queste persone come il prodotto di qualcosa che abbiamo fatto noi”.
La speranza di Khan è che l’Europa, la cui popolazione sta invecchiando, arrivi a considerare i flussi migratori non più come un’emergenza da affrontare con paura, ma come un’occasione di crescita e sviluppo.
Alessandra Morelli da 25 anni è delegato delle Nazioni Unite per l’Alto Commissariato per i Rifugiati, inviata in zone di guerre, ha raccontato “ mi è passato l’esodo dentro. Ma l’esodo biblico aveva un condottiero, Mosè, quello contemporaneo non ha nessuno, ha trovato solo muri e fili spinati”.
Per la cooperatrice non è vero che quando un rifugiato approda in Europa rinasce, in quel momento è la persona più fragile del mondo perché ha perso tutto. Oggi protezione dei rifugiati e resistenza in una società civile vuol dire avere il coraggio di riappropriarsi di parole come solidarietà, empatia, accoglienza e impegno.
Alessia Sirci