Si è concluso alle 13 di mercoledì 11 aprile, alla Sala Priori dell’Hotel Brufani, l’incontro dal titolo “Odio online e hate speech: analisi di case history e soluzioni”. Sono stati tre gli interventi che hanno caratterizzato questo evento che ha approfondito il cosiddetto hate speech nello sport come effetto collaterale dell’incremento delle conversazioni online. Attraverso Case history dal mondo dello sport a testimonianza della discutibile libertà di odiare e della certezza che il web possa essere anche un luogo per amplificare l’aggregazione in campo, contro le differenze razziali e di genere, sono state fornite delle linee guida per i comunicatori digitali al fine di monitorare e moderare le community sportive in un momento di crisi. I tre relatori, Federica De Stefani, Bernardo Mannelli e Alessandra Ortenzi, fanno parte di un gruppo di studio che si chiama Sportdigitale.com, nato a margine del libro “Digital Marketing dello Sport”, edito da Hoepli, e che si prefigge l’obiettivo essenziale di traghettare la cultura digitale nel mondo sportivo. Infatti proprio nello sport si crea l’ambiente naturale in cui si sviluppano conversazioni che più facilmente portano all’odio online. Grazie a due link, bit.ly/odioesport e beamium.com, il pubblico in sala ha potuto visionare in tempo reale sui propri dispositivi mobili le slides degli argomenti trattati e in particolare interagire, fornendo feedback o esprimendo un like.
L‘incontro, organizzato in collaborazione con il Centro di Ricerca Coordinato in “Information Society Law” dell’Università degli Studi di Milano ha preso il via con l’intervento di Federica De Stefani, avvocato e autrice di pubblicazioni giuridiche, responsabile di media law per SportDigitale. De Stefani si è concentrata sulla comunicazione sportiva, ovvero come si racconta una notizia, valutando i limiti giuridici sia da parte degli utenti che utilizzano la rete, sia da parte degli addetti ai lavori. Il caso esemplare per spiegare meglio la tematica è il trasferimento da 90 milioni di euro di Higuain dal Napoli alla Juventus. Il fulcro della vicenda non è però il trasferimento ma l’esercizio di un diritto contrattualmente previsto, inserito all’interno di un contratto di lavoro, che legava il calciatore alla società e che in qualche modo lo aveva blindato al Napoli. Proprio il fatto di non puntare l’attenzione sull’esercizio di questo diritto ha fatto si che la rete si scatenasse contro Higuain. E pur essendo trascorsi due anni, la polemica non si è ancora arrestata.
I soggetti coinvolti in questa vicenda sono il calciatore, che viene preso di mira, a tal punto che in rete un utente arriva ad augurargli la morte, le società sportive, i giornalisti, titolari del diritto di cronaca ma anche destinatari di attacchi personali e forse colpevoli in questo caso di aver gestito correttamente la notizia e quindi da far “scatenare” i tifosi e gli haters. “Il modo con il quale vengono presentate e commentate le notizie- ha affermato in conclusione De Stefani- sicuramente ha un effetto dirompente nei confronti di quello che è l’odio online e il giornalista deve in qualche modo gestire sia quella che è la modalità con la quale viene data la notizia, sia quelli che sono i commenti poi generati dalla notizia stessa. Prendere posizione in rete significa mettere dei limiti che possono fungere in qualche modo da segnale”.
Alessandra Ortenzi, giornalista sportiva, ha relazionato poi sul tema “odio online: le conversazioni”. Partendo dall’affermazione che il linguaggio dell’ecosistema dello sport è unico ed è utilizzato da una community che segue le regole di comportamento proprie, pur rimanendo collegato al tipo di disciplina cui si riferisce, Ortenzi si è spostata sul recente caso di Conor Mc Gregor, atleta dell’MMA che è salito alle cronache per aver assaltato un bus che trasportava altri atleti, usando transenne e pezzi di metallo. La notizia è nata, si è sviluppata e sta vivendo nel digitale, “banalmente” come tutte le notizie di cronaca e di sport.
La querelle è nata infatti da un video su youtube, le risposte di Mc Gregor sono state date su twitter, le dirette dell’accaduto sono state amplificate da Vimeo e dalle Instagram Stories e le conversazioni maggiori sono state su Instagram. Grazie a una miriade di post e di relativi commenti, l’atleta è stato difeso dalla community stessa, che anzi ha fatto in modo di non innescare un sistema di hate speech online nei suoi confronti e di contro ha giustificato il suo atteggiamento violento, che può portare però a una possibile reiterazione del fatto. Questo esempio fa capire la forza che può avere la community in rete e la necessità per un giornalista di prendere una posizione di condanna dal punto di visto sportivo. Inoltre il comunicatore deve conoscere bene gli strumenti e i canali in cui si esprime la community. “Serve la consapevolezza dello sport, dei canali e della community” ha dichiarato in conclusione la giornalista spotiva.
L’ultimo intervento è stato quello di Bernardo Mannelli, esperto di comunicazione digitale, che ha portato la sua storia di inclusione e integrazione, contro l’odio e la discriminazione, grazie allo sport.
Dall’ ottobre 2016 , infatti, a Firenze, esiste il “Teatro del Sale Football club” una squadra di calcio a 11 formata da italiani e richiedenti asilo politico. La squadra oggi è formata da atleti amatoriali di 12 nazionalità diverse, un’allenatrice professionista e, cosa rara nel calcio, anche una presidente donna. Il “Teatro del sale football club” è diventato un piccolo caso per le sue particolarità e ha raggiunto un certo seguito sui vari canali social (pagina Facebook, Instagram e un blog su cui vengono pubblicate pagelle ironiche delle partite). E quindi non hanno tardato ad arrivare gli insulti razzisti e in generale attacchi da parte di haters. Attacchi che hanno ricevuto risposte semplici ma esemplari, come è giusto che sia. Mannelli comunque vuole ricordare che gli insulti razzisti che avvengono in campo durante le partite non sono meno gravi di quelli online e ha terminato l’intervento con l’invito a riflettere su questa tendenza, per così dire “naturale” e “istintivo” a “puntare il dito sul fatto che lui è diverso da me”.
Stefania Fiorilla