“Oggi ad aprire un giornale o un agenzia devi stare molto attento. Quasi ti devi spaventare di avere un idea del genere”. Un inizio non incoraggiante per un incontro che di certo - e purtroppo - lascia un sapore piuttosto amaro in bocca.
Piccoli media crescono, incontro tenutosi oggi pomeriggio alle ore 18 presso il Centro Servizi Alessi ha dato uno sguardo a quelli che dovrebbero essere gli astri nascenti della nuova comunicazione nell’era del 2.0. Con uno sguardo estremamente realista e critico gli speaker di questo incontro hanno voluto raccontare la loro esperienza nel mondo del giornalismo, per il quale hanno studiato e lavorato tanto negli anni passati. Coordinati da Carola Frediani, giornalista specializzata in nuove tecnologie per l’Espresso, Wired, Corriere della Sera e sky.it e con un’attiva partecipazione del pubblico le varie esperienze di nuovo giornalismo hanno preso una luce edificante per chi ha la “malsana idea” di creare un nuovo canale di informazione.
“Per creare questo giornale abbiamo penato davvero tanto. Abbiamo iniziato solo con le nostre poche forze, versando più di 300 euro solo di marche da bollo, e 300 euro sono davvero tantissimi per un'azienda che sta partendo adesso e che si prefigge di fare informazione in Italia”. Queste le parole di Emilio Fabio Torsello, giornalista trentaduenne, da febbraio direttore responsabile del giornale on line dirittodicritica.com e fondatore di 4media, cooperativa di servizi giornalistici ed editoriali.
Torsello racconta anche quanta burocrazia bisogna fronteggiare se si vuole aprire una qualsiasi agenzia; una burocrazia sempre più oppressiva e vincolante in tantissimi passaggi, stampe e firme. “Un giorno è arrivata una lettere del Ministero dello Sviluppo Economico avvertendoci che ci sarebbe stata un’ispezione. Pochi giorni dopo ci siano ritrovati con 19 pagine di verbale e la possibilità di avere un’ingente multa perché non abbiamo fatto dei contratti a progetto. Lo stato parla sempre di startup ma è impossibile andare avanti e fondare un qualcosa di nuovo in un ambiente così”.
Parallela e per certi versi opposta è l’esperienza di Simone Pieranni, fondatore nel 2009 di China Files, agenzia editoriale con sede a Pechino che collabora con media italiani e latini americani con articoli e reportage scritti e prodotti direttamente in Cina.
“Sentendo quello che ha detto Fabio, sono in Cina dal 2006 e non mi viene nessuna intenzione di tornare - afferma tra il riso amaro del pubblico. - Subito dopo le olimpiadi siamo stati sommersi dall’onda mediatica con un immagine della Cina ultra-stereotipata, ma anche tremendamente affascinante per chi viveva all’interno del paese”. Simone Pierrani racconta con semplicità la sua realtà lavorativa molto diversa e paradossale se paragonata a quella italiana. La China Files è composta oggi da dieci persone che guadagnano il giusto in un paese in continuo movimento e che producono servizi sia in lingua italiana sia in lingua spagnola. Ma mentre i giornali italiani chiedono servizi del tipo “Scrivi un pezzo sul nuovo inizio degli armamenti cinesi, ma fammelo in chiave comica” i media spagnoli pagano per ogni battuta, dando spazio fino a 20.000 battute. Una qualità senza dubbio diversa che nei primi anni di lavoro dell’agenzia ha creato non poche difficoltà. “Subito dopo abbiamo iniziato a lavorare per chi i soldi li aveva, quindi aziende italiane in Cina, le ambasciate e le aziende cinesi presenti in Italia. Dopo esserci fatti conoscere, ora produciamo dei servizi di qualità e non ci chiedono più cose che non vorremmo mai produrre. La Cina è un buco nero dove non si può dare nulla per scontato e che ha bisogno di farsi conoscere anche per i grandi cambiamenti sociali che vengono al suo interno, ma che non vengono mai raccontati”.
Per due aziende “giovani, snelle, agili e low cost”, come conclude lo stesso Pierrani, c’è ne una che si afferma dal 1992 nonostante tutte le difficoltà. Parliamo di Lettere22, rappresentata dal co-fondatore Emanuele Giordana, direttore responsabile. Appena rientrato da Kabul commenta il colpo di fortuna avuto durante la sua permanenza in terra afgana e gli eventi degli attacchi dei Talebani alla città di Kabul. “Siamo stati intervistati da RAI, radio giornali, tantissimi programmi televisivi costruiti sulle nostre storie. Ma quanto siamo stati pagati? Nulla. Solo 400 euro da un magazine che per fortuna mi paga bene. Questa è la situazione del giornalismo italiano ed essere ottimisti è davvero molto difficile”.
Giordana, grazie anche alla sua lunga esperienza, sembra non essere più toccato da tutto ciò per la passione che ha per questo lavoro: “Il giornalista ha il piacere di raccontare tutte le storie e il mondo. È il mestiere che ti mette in contatto con tutti, dal barbiere del tuo quartiere al Presidente della Repubblica”. Racconta anche la parte marcia di questo sistema in cui vive da tanti anni: la mancanza di qualità e la situazione delle nuove leve, che spesso si trasformano in “araldi di un meccanismo perverso”, passando da articoli bocciati per via di un'analisi noiosa a una brevità in 30/40 righe ma troppo sterile per poi “finire col chiederti di fare un video. Ma un video su che cosa, dato che ormai la notizia è persa?”. Giordana afferma di non essere più preoccupato da un sindacato dei giornalisti che ha fallito tutti gli obbiettivi per il quale è stato istituito e che rischia di mettere seriamente in pericolo i diritti e la qualità del lavoro di tanti giornalisti italiani, ma crede fortemente in un fronte comune e nella voce di tutti i giornalisti che hanno non poche difficoltà. “Spero in un futuro che riesca a mandare via questo buio”.
Daniele Palumbo