Propaganda, social media e manipolazione

Non esiste alcuna post-verità perché non c’è mai stata alcuna verità. Questo è stato il fulcro del panel “Propaganda, Social Media e Manipolazione” curato dal giornalista Fabio Chiusi che ha intervistato il sociologo Nathan Jurgenson, presto nelle librerie col suo nuovo lavoro The Social Photo.
Secondo lo scrittore americano, quando parliamo di nuove tecnologie, siamo soliti chiederci se queste rientrino nella categoria del “bene” o del “male”. Una visione che in realtà ci impedisce di attuare una critica ben strutturata della rivoluzione digitale. Bisogna quindi reimpostare la questione nei suoi aspetti storici, politici e sociali, come per una qualunque creazione umana.
«Solo facendo questa operazione possiamo fare una discussione matura del problema».
Pertanto Jurgenson si dimostra contrario all’utilizzo di termini come fake news e post verità, definizioni che alludono ad un passato falso dalla realtà pura e non filtrata dalle tecnologie. «Eppure ci dimentichiamo che lo stesso linguaggio che usiamo per comunicare è un filtro tra noi e il mondo circostante», ha sottolineato.
L’incontro si è concluso con un’esortazione rivolta ai giornalisti, da sempre coinvolti nello studio dell’interpretazione della realtà. Secondo il sociologo, infatti, come dimostrato dalle recenti elezioni americane dove la stampa non è riuscita a percepire la vittoria di Trump, dovrebbero abbandonare concetti che servono solo precluderli da una comprensione autentica della realtà.
Per Jurggenson le domande da porsi sono ben altre: a chi giova la definizione di postfattualità? - e sopratutto, come dimostra il caso Facebook - come abbiamo potuto dare così tanto potere a così poche persone?

Lucia Marinelli