Raccontare la guerra da freelance

con Mike Garrod (fondatore e direttore World Fixer), Francesca Mannocchi (reporter freelance), Nancy Porsia (giornalista freelance), Alessio Romenzi (fotografo freelance), Costanza Spocci (cofondatrice Nawart Press)

La difficile vita del freelance in zone di guerra, questo il tema del panel tenutosi nella sala del Centro Alessi a Perugia. Molte le sfide a cui sono chiamati i freelance nelle zone di guerra, dalla sicurezza al rapporto con le fonti, passando per il trattamento economico. Le ha conosciute tutte Nancy Porsia seguendo dal 2011 ad oggi la situazione in Libia dopo la destituzione del regime di Gheddafi. “Ho scelto la Libia perché era un paese del tutto scoperto dai media, lì avrei potuto iniziare a lavorare e vivere di giornalismo”, ha spiegato. In Libia Porsia è entrata in contatto con trafficanti e migranti raccogliendo le loro storie, proiettate in brevi estratti nel corso del panel. Dal suo racconto è emersa la necessità di vivere le zone di conflitto stabilmente, come forma di garanzia per le fonti sul territorio “la garanzia di un racconto veritiero per i trafficanti libici è la mia presenza sul territorio, è la certezza che io dalla Libia non andrò via”, ha concluso Porsia. Ulteriore aspetto è il supporto ai freelance in zone di guerra fornito dai fixer. Tra questi Mike Garrod, direttore della più importante comunità di fixer World Fixer, che ha descritto il ruolo svolto da quest’importante figura nelle aree di conflitto, invitando ad una maggiore sensibilità verso un ruolo spesso nell’ombra che tuttavia svolge un’attività di raccolta di informazioni e contatti, rischiando la vita al pari di un reporter. Nel sud della Turchia ha invece lavorato Spocci dove, come rischio maggiore, ha incontrato la difficoltà di fare fronte alle autorità turche, col timore di essere segnalata, pedinata, deportata o arrestata. “Non si può girare il paese senza tesserino, ma questo viene concesso solo a chi lavora per testate importanti, non ai freelance che quindi diventano dei target, perciò cerchiamo di ovviare organizzando una rete di sicurezza interna tra noi freelance, seppur limitata”, ha spiegato Spocci. Alessio Romenzi, fotografo freelance dal 2009, ha iniziato invece dalla Palestina per poi seguire i conflitti in Siria riscontrando la difficoltà di inserimento nel mercato. “Il lavoro delle agenzie che raccolgono il lavoro di fotografi associati oggi tagliano fuori dal mercato il lavoro dei freelance”, ha raccontato Romenzi. L’ultima esperienza è stata raccontata da Francesca Mannocchi che, dopo aver lavorato come inviata per un programma televisivo, ha deciso di tornare freelance avendo avvertito “di aver perso la sensibilità di prima, la capacità di leggere gli eventi” come quando viveva i luoghi per tempi lunghi. “In Italia il lavoro di freelance non ha una sua dignità”, ha concluso Mannocchi. In chiusura il tema del complicato rapporto con i caporedattori. “Ho organizzato un viaggio documentario con una collega e un direttore di un celebre quotidiano mi ha richiesto di farne un lavoro tipo Donna Avventura, ho rifiutato: questo per me non è giornalismo”, ha confessato la freelance Spocci.

Leonardo Vaccaro