È stato Vladimir Putin il vero “grande elettore” di Donald Trump alla Casa Bianca? Se lo sono chiesti oggi a Perugia il giornalista investigativo russo Andrei Soldatov e il reporter di BBC Panorama John Sweeney, autore del documentario “Trump: the Kremlin candidate?”, di cui sono stati proiettati alcuni stralci.
La vicenda prende spunto dall’inchiesta che ha coinvolto alcuni collaboratori di Trump – ma al momento non lui personalmente né i suoi familiari – sospettati di aver incontrato di nascosto agenti russi. Gli stessi che avrebbero poi fornito a Wikileaks il dossier che ha screditato la campagna elettorale dell’ex segretario di Stato Hillary Rodham-Clinton.
Di sicuro – ha ricordato Sweeney – dopo il crack dei suoi casinò alcuni anni fa il magnate Trump si trovò in gravi difficoltà economiche e pochissime banche occidentali erano disposte a finanziarlo ancora. Si sospetta che un uomo di origine russa che in quel periodo lavorava per lui, un ex gangster poi licenziato, possa averlo messo in contatto con ambienti finanziari del suo paese.
Un’analogia evidente tra Putin e Trump – che tra i suoi molti bersagli non ha mai incluso il presidente russo – è la scarsa considerazione di entrambi per i media tradizionali di matrice liberal, accusati perfino di diffondere fake news, seguendo una tradizione inaugurata negli Stati Uniti dalla destra conservatrice già ai tempi di Richard Nixon. Molto più difficile capire se effettivamente oggi il Cremlino – che controlla direttamente o indirettamente buona parte dell’economia russa – possa avere del materiale compromettente per ricattare Trump, relativo alla sua vita sessuale, ai suoi affari oppure hackerate dai suoi esperti, come ha raccontato uno di loro oggi rifugiato all’estero.
Di sicuro – ha affermato Sweeney – oggi la democrazia russa ha molti punti oscuri, a cominciare dall’assassinio ricorrente delle voci critiche, come l’oppositore Boris Nemtsov e la giornalista Anna Politkovskaja, della Novaja Gazeta. Per lo stesso giornale – che «ha perso 6 persone in 16 anni» lavora Andrei Soldatov, che segue le vicende del FSB (l’ex KGB) fin dal 1999, e secondo cui è pratica comune dei servizi segreti russi spiare costantemente tutte le personalità straniere di rilievo presenti in Russia e far esplodere poi degli scandali – spesso servendosi di prostitute – fornendo video compromettenti a siti amici.
Anche se a Mosca molti hanno festeggiato la vittoria di Trump, non ci sono al momento prove dell’effettivo coinvolgimento del Cremlino nelle elezioni americane. E’ perfino possibile – ha concluso Sweeney – che l’imprevedibile e narcisistico Trump perda progressivamente interesse per la Russia così come non ne ha mai avuto per il Medio Oriente.
Di Alessandro Testa