A dieci giorni dall’evento che, probabilmente, segnerà la storia della Turchia per molti anni, ovvero l’ormai prossimo referendum costituzionale, un solo motto si diffonde tra i giornalisti: #FreeTurkeyMedia. È proprio questo ciò che viene proiettato in apertura dell’evento che ha visto susseguirsi gli interventi di Gulsin Harman, Isik Mater, Efe Kerem Sozeri e Alp Toker: un appello al vicino Occidente sulla situazione che il Paese, mediaticamente parlando, sta attraversando.
Nella regione del Sud-Est Europa, lo Stato guidato da Ankara sta attraversando, ormai dal 2015, un’accelerazione radicale del processo di censura e rallentamento dei siti internet – basti pensare che, secondo i dati riportati dal direttore di Dekadans.co, il numero delle pagine web bloccate dal governo è passato dalle 1.310 del 2008 alle 115.805 del 2016.
I maggiori casi di oscuramento di internet e, in generale, il rallentamento dell’accesso ai principali social network – è stato proiettato un video in cui venivano impiegati ben 23 minuti solo per connettersi alla pagina di login di Twitter – avvengono proprio in seguito ad attentati o eventi politicamente destabilizzanti. La ragione di questo ostruzionismo mediatico? La volontà, da parte dell’esecutivo, di escludere i giornalisti indipendenti, così da diventare l’unico filtro di veicolazione di informazioni.
Inoltre, la società turca, al pari di molti Paesi della regione, si sta sempre maggiormente polarizzando, per cui opinioni contrarie al potere di Erdogan vengono etichettate dal sistema come istigazioni al terrorismo o principi di tradimento.
La situazione resta dunque drammatica, ma, nel frattempo, continuano fortunatamente a nascere movimenti che reclamano la propria libertà di espressione, mantenendo accesa la luce in opposizione al sempre più insistente tentativo di oscuramento delle opinioni.
Lorenzo Tobia