Diffondere articoli, farsi autopromozione, estrapolare informazioni da usare nelle proprie storie: conoscere tutte le potenzialità di Twitter è diventato indispensabile per ogni giornalista.
Non bisogna essere “nerd nell’anima” per usare bene Twitter o avventurarsi nel data analysis: al Festival Internazionale del Giornalismo, nel corso di "Tutti i segreti dei dati su Twitter", Steffen Konrath spiega di essersi iscritto al social network molto tardi (2009 per la precisione) e di essere rimasto a lungo frustrato dalla mancanza di follower, mentre Simon Rogers per sua stessa ammissione, non è mai stato un amante della matematica e della statistica, ma ha presto capito che “per raccontare delle storie i dati sono fondamentali”. A fare la differenza sono l’esperienza, la pratica e la curiosità.
Rogers, dopo aver curato un data blog per il Guardian, è approdato al Twitter Data, un centro che si occupa di estrapolare più informazioni possibili dal flusso continuo di tweet inviati in tutto il mondo.
Uno dei metodi di analisi più utilizzati dal team sfrutta la geolocalizzazione per costruire delle mappe interattive dei tweet su Cartodb. I risultati sono a volte sorprendenti: ad esempio, in concomitanza con l’uscita a sorpresa del suo ultimo album, l’hashtag #Beyoncé ha avuto il suo picco negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e a Istanbul. Con lo stesso meccanismo il team di Rogers ha creato una mappa della diffusione dell’hashtag #ukraine dimostrando come negli scorsi mesi l’interesse per la questione della Crimea si sia diffuso dall’est Europa verso il resto del mondo. Anche la lingua usata ci dice molto: se creiamo una mappa che segue la diffusione dei tweet contenti l’hashtag #sunrise nelle varie lingue durante la giornata, possiamo quasi sovrapporla al progressivo sorgere del sole nei vari Paesi del mondo.
Capire chi ritwitta e da dove è, però, solo l’inizio: bisogna anche capire che tipo d’interazione si crea con i propri follower. Sudha Ram, con il resto dello staff di Insite, ha elaborato dei data set composti dai tweet delle testate giornalistiche più importanti e dai retweet degli utenti per definire quali network si creano. I risultati sono rappresentati da una serie di mappe straordinarie che sono utilissime per quantificare l’engagement dei follower. Ad esempio intorno all’account del New York Times esistono delle vere e proprie comunità che ritwittano costantemente gli articoli e altri che selezionano cosa ritwittare anche se non sono follower. La BBC, invece, coi suoi diversi account (@BBCWorld, @BBCEnglish) diffonde lo stesso contenuto da più canali: si hanno così network più discontinui ma la profondità è maggiore. Altra dimensione importante è il life span di un tweet: “ci sono articoli che muoiono subito e altri che, dopo una morte apparente, resuscitano perché qualcuno di influente ha deciso di ritwittare”. In sostanza “non è tanto importante quanti follower si hanno ma quanto questi siano attivi e rispondano ai contenuti che proponiamo”.
Le possibilità per una redazione possono diventare infinite, ma cosa può fare il comune utilizzatore di Twitter per non perdersi nell’immenso flusso di informazioni e ottenere ciò che per lui è rilevante? Una soluzione la offre Tame.it creata da Frederik Fischer e Torsten Mueller per “domare il rumore che si genera nella home di Twitter quando si seguono tanti profili”: Tame, infatti, permette di riordinare i tweet in base agli hashtag più utilizzati e di raggruppare i follower in base agli argomenti dei loro tweet. I giornalisti possono così fare ricerche in tempo reale e avere una prima idea circa l'affidabilità delle loro fonti. Il resto è lasciato all'esperienza e alla professionalità - almeno questo - come da tradizione.