Sala Priori, ore 10.30
Michele Smargiassi, firma di Repubblica e autore del blog dedicato “Fotocrazia”, ha inaugurato stamane presso la Sala Priori dell’Hotel Brufani un percorso di quindici seminari promossi da Giovanni Ziccardi dell’Università di Milano e dal centro Ermes su temi relativi all’hacking, al giornalismo ed al diritto.
Fotografia e falsificazione, questo il filo conduttore del discorso appassionato e appassionante di Smargiassi in una sala gremita di pubblico. Punto di partenza per il giornalista è stato dimostrare con immagini talvolta curiose e divertenti ed in alcuni casi drammatiche, come il falso fotografico non sia prerogativa del passaggio recente dall’analogico al digitale, ma sia invece caratteristica intrinseca del mezzo fotografico, evoluta insieme alla sua tecnica. “Le foto ci raccontano inevitabilmente delle bugie, ma dietro alla parola bugia non ci sono solo connotazioni negative – ha esordito Smargiassi - Nella nostra cultura la foto dice il vero, la fotografia digitale assomiglia alla foto, quindi inevitabilmente dice il vero. Ma siamo sicuri che sia la foto digitale ad aver aperto lo spazio per la manipolazione? La fotografia ci ha sempre mentito, tuttavia, in qualche modo, ci è utile”.
Certamente il digitale ha permesso un proliferare di creazioni e manipolazioni fotografiche che coprono quasi la totalità della produzione mediatica attuale: un fattore non irrilevante per la credibilità dei giornali e per la stessa disciplina deontologica alla base della professione giornalistica. Vale la pena però non concentrarsi tanto su come la manipolazione avvenga, quanto sull’effetto che ottiene nell’influenzare l’opinione della gente. Smargiassi ha ricordato che la foto è sempre arricchita da conoscenze esterne, che identificano le fisionomie di persone e oggetti, ma aggiungono ulteriore significazione, attingendo dall’esterno, da cultura, stereotipi, abitudini interpretative: “le foto dimostrano per vero ciò che noi siamo già disposti a credere vero: la foto è una funzione della nostra disponibilità a crederla vera”.
Ma allora cos’è una fotografia vera? Come si riconosce? La foto culturalmente ha una reputazione di verità che è impossibile cancellarle, anche se oggi sappiamo tutti che è modificata: “Non rappresenta quindi l’oggetto – ha chiarito Smargiassi - ma è generata direttamente dall’oggetto: se c’è la foto, c’è stato l’oggetto. Non è una raffigurazione mentale ma un’impronta, da qui deriva la sua presunzione di veridicità, ma il problema sta nel salto logico che porta dall’impronta alla veridicità”.
Cultura, leggi prospettiche condivise, mitologie diffuse, ma anche palesi falsificazioni che, in epoche insospettabili di tecnica analogica, hanno tagliato, ritoccato, cancellato negativi e stampe a scopi politici, estetici, utilitaristici (come non ricordare il celebre scatto del miliziano firmato Robert Capa?) proponendo al pubblico foto false, ma ben presto divenute icone. Falsi fotografici che hanno fatto la storia, ma quanto utili alla luce della loro bugia? “La verità della fotografia sta proprio nelle sue bugie – ha concluso il blogger di Fotocrazia - una volta che sappiamo che ci possono mentire, dobbiamo ricavare in esse le tracce che ci consentono di apprendere fatti e informazioni e che ci possono portare, poi, a delle valutazioni sulla realtà”.
Alessandra Chiappori