Venticinque anni di corruzione: morte e silenzio nella Terra dei fuochi

photo by Giovanni Culmone

Venticinque anni di corruzione, mala politica, camorra e soldi. Potrebbe riassumersi così la storia della Terra dei fuochi, quell'agglomerato di comuni compresi in un'area a nord di Napoli e a sud di Caserta, avvelenata e martoriata da roghi tossici e intrecci milionari. Una storia rimasta per anni in un silenzio colpevole e connivente, lasciando dietro di sé una lunga scia di morte. L'ultima è quella di Roberto Mancini, uno dei primi poliziotti a battersi contro i veleni delle mafie, stroncato da un cancro pochi giorni fa all'ospedale di Perugia. A lui è dedicato un lungo applauso, in apertura dell'incontro sulla Terra dei fuochi al Festival internazionale del giornalismo.

Che in Campania la camorra facesse affari con lo smaltimento dei rifiuti sulla pelle dei cittadini era cosa nota a tutti da anni. Curioso è il fatto che i primi ad essere stati accusati di aver taciuto sono state le vittime, gli abitanti di quei territori. “L'idea che i cittadini si siano svegliati improvvisamente è falsa. Il 'fiume in piena' del 16 novembre 2013 nasce dieci anni prima ad Acerra, quando 30 mila persone sono scese in piazza contro l'inceneritore”, spiega Giuseppe Manzo, giornalista e autore del libro 'Chi comanda Napoli'. “Quel giorno sono nati i comitati territoriali in tutta la Campania e ha preso forma quella 'resistenza' che nel biennio 2008-2009 si è opposta all'apertura di discariche in aree protette, come Chiaiano, Terzigno, Pianura.

Quel movimento ha iniziato a informarsi sul versante ambientale e sanitario, ha incontrato scienziati e ha cominciato a dire che bisognava raccogliere le cartelle cliniche degli ospedali per dimostrare il nesso tra tumori e rifiuti”. Tra chi era convinto dell'omertà degli abitanti c'era anche Marco Demarco, autore di 'Aspettavo l'apocalisse': “Ero tra quelli che sospettavano che la popolazione avesse iniziato a parlare per obbedire ancora una volta alla camorra, che voleva accaparrarsi la bonifica dei territori che aveva avvelenato. In realtà è un'accusa infondata. L'allarme era stato lanciato, semplicemente nessuno l'ha voluto ascoltare”. Se omertà c'è stata, per Demarco va cercata altrove: “A un certo punto la comunità di Caivano ha iniziato a incontrarsi nella parrocchia di padre Patriciello, dove è nato un movimento che in meno di due anni ha fatto ciò che partiti e organizzazioni non erano riusciti a fare: porre la questione del rapporto tra ambiente malato e cittadini malati. Correlazione poi confermata dall'Istituto tumori Pascale, che ha evidenziato una concentrazione di casi di tumore in quell'area. I dati ufficiali, però, non sono mai stati raccolti e oggi la Campania non ha ancora un registro tumori. Questa gente è vittima due volte”.

La prima volta che la Terra dei fuochi compare in un provvedimento legislativo è con l'omonimo decreto, diventato legge lo scorso febbraio. “Un riconoscimento politico da non sottovalutare - lo definisce il ministro della Giustizia Andrea Orlando, all'epoca all'Ambiente - che consegna a quel territorio un fondo per uno screening sanitario, ammette che il nesso rifiuti-tumori esiste. In quel decreto, poi, c'è un obiettivo a lungo termine: arrivare a una banca dati che dia una mappatura chiara della situazione. È una parte di soluzione dopo il black out democratico di questi anni. Il vero problema però è l'economia che sta sotto lo smaltimento dei rifiuti”. La legge, però, “è ritenuta inutile dai comitati. I militari inviati non sono riusciti a spegnere i fuochi e le pene per il nuovo reato di incendio dei rifiuti sono servite solo a punire gli ultimi anelli, gli immigrati che accendono i roghi per conto di qualcuno”, dice Manzo. La catena degli illeciti che portano alla Terra dei fuochi è lunga e articolata. “

Possiamo dare il carcere a chi brucia o ai capo clan ma se non fermiamo gli intrecci che stanno alla base non faremo niente”, commenta Raffaello Magi, magistrato del processo Spartacus. “Qui non stiamo parlando della camorra che spara. Il dato inquietante è che ci sono e continuano a esserci personaggi liberi che si riciclano e fanno un tipo di criminalità organizzata che non è presidio territorio o sparare. Le confische milionarie in contanti sono quelle che abbiamo fatto a casa dei 'mediatori della monnezza'”.

Ma il filo che lega rifiuti, camorra e soldi non si interrompe con lo smaltimento. Chi in passato ha inquinato, oggi è interessato a un nuovo affare: la bonifica dei territori, altro modo per intercettare soldi pubblici e continuare a lucrare. “C'è il rischio che si ripetano gli stessi errori e che siano sempre gli stessi soggetti a perseverare in una serie di guadagni infiniti sulle nostre situazioni in perenne emergenza”, denuncia Amalia De Simone, giornalista di Corriere.it. “C'è stata un'azienda che aveva nel dna i casalesi e addirittura si era procurata anche dei brevetti per cercare di accreditarsi presso la Regione Campania e partecipare agli appalti della bonifiche. Era una ditta messa su appositamente dalla camorra per poter riguadagnare su quello che la camorra stessa aveva fatto negli anni.  Un'azienda composta da colletti bianchi, ma anche da società che vantavano partnership con nomi importanti”. Per dare un'idea, De Simone racconta alcuni episodi. L'azienda in pole position per l'appalto della bonifica della discarica Resit (considerata la più pericolosa in Campania, simbolo della Terra dei fuochi), ad esempio, sarebbe una di quelle “coinvolte nella vergogna di Bagnoli, un'area industriale finita sotto sequestro a causa di una finta bonifica finanziata con soldi pubblici che, anzi, ha peggiorato la situazione ambientale”. Vergogne su vergogne, che la giornalista racconta dati alla mano.

Negli ultimi tempi informazione e società civile si sono messe in prima linea per fare luce sulla vicenda e rompere il silenzio, anche a seguito delle rivelazioni del pentito Carmine Schiavone, da qualcuno considerate una trappola mediatica. “Il giornalismo allarmistico dà credito a certi personaggi”, commenta Filippo Facci, recentemente protagonista di un aspro scambio con Roberto Saviano sul tema. “Senza voler fare il 'negazionista', ci sono persone che hanno detto una serie di sciocchezze. E la conseguenza più grossa di questo atteggiamento è il calo del prodotto interno lordo in Campania. Questa è l'altra faccia di quell'eccesso di silenzio che poi trasforma in sensazionalismo un certo tipo di giornalismo. Io credo solo a magistrati e indagini delle forze dell'ordine sul tema”.

Quel che è certo è che dopo 25 anni di corruzione, camorra, morte e silenzio, questo è il momento di sapere, scoprire, raccontare. E agire.

Claudia Torrisi