Viaggio nel voto: le elezioni 2018 tra tv e social

Salvini e Di Maio vincitori indiscussi delle elezioni politiche – non solo per il numero di voti, ma anche per la comunicazione – con un “premio della critica” per Berlusconi. E’ questa l’analisi di Mario Sechi, già direttore del Tempo e fondatore di List, e di Lorenzo Pregliasco, direttore di Youtrend, che ne hanno discusso insieme al pubblico del Festival del Giornalismo di Perugia.

Questa campagna elettorale – ha esordito Sechi – ha cambiato gli equilibri fra i media: la televisione è ancora di gran lunga il mezzo più seguito, ma ha perso la sua centralità e soprattutto la capacità di influenzare l’agenza politica, passata in parte alla radio (che ha riconquistato un ruolo importante) e ancora di più a Internet e ai social network, capaci di immediatezza e di costituire il “rumore di fondo” della campagna elettorale. Per questo, secondo Sechi, la palma del vincitore della comunicazione elettorale spetta a Salvini (aiutato da un ottimo staff), che ha costruito una campagna trivalente, basata sulla Tv, la Rete e il territorio: 300 comizi uniti a una presenza quotidiana sul piccolo schermo e sui social, culminata con il concorso #vincisalvini per poterlo incontrare di persona. Ciò gli ha consentito continui rimandi e di assorbire senza problemi lo shock dei fatti di Macerata, con un finale in crescendo che lo ha portato ad aumentare i voti della nuova Lega nazionale in tutte le circoscrizioni, conquistando la leadership del centrodestra.

Per cercare di impedirlo, Berlusconi aveva scelto di sovraesporsi in tv fin da ottobre/novembre, così da avere più forza contrattuale a gennaio nella trattativa con Salvini per i collegi. Però alla fine, pur recuperando come al solito 5 o 6 punti percentuali rispetto ai sondaggi di inizio campagna, è arrivato spompato al 4 marzo e ora non sa rassegnarsi al ruolo di gregario, come abbiamo visto ieri nel suo piccolo show al Quirinale. In ogni caso, il 14% è un risultato notevole, che gli consente di sopravvivere politicamente, e che ha conquistato anche grazie ad una campagna per la prima volta anche fortemente social, con moltissimi brevi video su Facebook.

Ottima anche la comunicazione del secondo vincitore della campagna, Luigi Di Maio, il cui momento più alto è stata la presentazione – annunciata in anteprima con un post su Fb e solo dopo ripetuta in televisione, da veri “nativi digitali”, come sono i pentastellati – della futura squadra di ministri di un possibile governo a Cinque stelle, che ha influenzato tutto il dibattito politico degli ultimi giorni di campagna elettorale. Il loro messaggio molto radicale è arrivato al cuore delle persone: ora bisognerà vedere se saranno capaci di parlare anche alla testa, soprattutto se andranno al governo.

Disastrosa, infine, la comunicazione del Pd, con l’attacco stizzito ad Orietta Berti per aver dichiarato di votare Di Maio e manifesti dagli slogan incomprensibili tipo “Vota la scienza: vota il Pd”, che non hanno scaldato i cuori. Molto più caldi ed efficaci quelli – ritmati – del M5S (“Partecipa. Scegli. Cambia) e di Forza Italia (“Onestà. Esperienza. Saggezza), senza dimenticare il chiarissimo (e trumpiano) “Prima gli italiani” di Salvini.

Ora che il Movimento Cinque stelle è il primo partito in tutto il Centrosud e la Lega lo è nelle ricche regioni del Nord – lasciando al Pd un pugno di province sull’Appennino tosco-emiliano e addirittura nulla a Forza Italia – non si può pensare di fare un governo senza di loro. Sechi ha rivendicato con orgoglio di aver previsto per primo un governo “Frankenstein” giallo-verde, con approfondite analisi sullo «spirito del tempo» – una forte divaricazione tra élite colte arroccate nei loro privilegi e incapaci di immedesimarsi, a Roma come a Londra, a Bruxelles o negli Stati Uniti, nelle sofferenze di interi popoli in fortissima crisi di reddito, bisognosi di ascolto e protezione – pubblicate già a luglio 2017 su List (e poi Radio List): il suo nuovo progetto all-pay, che ha aperto con successo una nuova nicchia di mercato, puntando alla fascia alta.

Nonostante questo – secondo l’ex direttore del Tempo – lo scenario più probabile (60%) è un governo del presidente scelto da Sergio Mattarella, con appena il 20% di probabilità di un accordo Salvini-Di Maio e altrettante di tornare alle urne tra l’autunno e il febbraio 2019.

Alessandro Testa