Vuoi fare il giornalista? Non farlo!

Più che una secca provocazione, un motivo per avviare il dibattito su quanto sia realmente difficile oggi fare il giornalista. Il dibattito dal tema “Vuoi fare il giornalista? Non farlo!” Ha raccolto il consenso di una vasta platea nella Sala del dottorato di Perugia nell’ambito della IX edizione del Festival Internazionale del Giornalismo in Umbria. Ad aprire i lavori Giovanna Zucconi, imprenditrice e giornalista. “Lavoravo in un giornale comunista tanti anni fa, alla mia epoca, io ho iniziato da precaria e senza essere pagata. Negli anni è aumentato lo sfocamento di questo mestiere, che oggi presenta una spaccatura tra garantiti e non garantiti”. Ad animare l’appuntamento anche la testimonianza di Chiara Bardi, giornalista, attualmente iscritta alla scuola di giornalismo di Perugia. “Mi sono laureata con una tesi – inchiesta, poi pubblicata, sui precari del mondo giornalismo. Serve tanta volontà per questo lavoro che resta quello più bello del mondo. È aumentato il bisogno di essere informati. Tutti possono accedere ad una informazione più ampia. Ma rivendiamo i diritti che ci spettano per questo nostro lavoro”. Tra i relatori anche Max Brod, videomaker. “Perché ci credo a questo lavoro? – si chiede -. Perché se ho avuto una possibilità io che non ho particolare caratteristiche, ce la potete fare anche voi volontari, e non qui a Perugia, appassionati e che credete in questo lavoro. Prima facevo l’enologo, ho fatto i corsi di sommelier. Ma solo a 23 anni ho scoperto che il giornalismo era una mia vocazione, nonostante fino ad allora fossi cresciuto in una famiglia di cronisti. Così ho fatto come ha fatto Battisti: ho chiesto a mia madre due anni per provare a cimentarmi nel giornalismo. E mi dedicavo ai temi di cronaca e realizzavo video. Il primo l’ho realizzato nel corso di una visita del premier Renzi a Firenze dopo avere casualmente conosciuto qui al Festival il direttore del Fatto, Peter Gomez. Così sono entrato a far parte della redazione”. Poi l’esortazione: “Lavoriamo perché per tutti il primo pezzo sia pagato e non sia gratis. Ma al gratis, alla gavetta, all’iniziare i giovani possono rinunciare?”.

“Se non hai motivazione per questo lavoro, se non hai il fuoco dentro, non sarai mai un giornalista. Se tu sei bravo, questo mestiere lo fai!”. Parte da questo spunto il contributo che Giuseppe Smorto, condirettore di Repubblica.it ha fornito al dibattito. “C’è un bisogno sociale di fare giornalismo. Fino a quando ci saranno giornalisti minacciati o uccisi, allora vuol dire ce n’è il bisogno. Abbiamo abituato lettori e utenti ad avere gratis l’informazione e questo errore di quindici anni fa ha provocato minori entrate nelle aziende editoriali. L’atteggiamento dei giornalisti è cambiato: noi che dovremmo essere dipendenti adesso ci occupiamo della sostenibilità dei giornali. Nuove forme di trasmissioni della nostra professionalità: ci sono delle qualità che non si insegnano, non si tramandano, non si apprendono nelle scuole di giornalismo”. Scherza - ma non troppo - Caterina Soffici, giornalista e scrittrice de “Il Fatto Quotidiano” quando dice “Ve lo sconsiglio vivamente, non fate i giornalisti”. “Comunque – aggiunge – ora, come allora, devi sopravvivere alla gavetta. Quando ho iniziato io, il primo pezzo te lo facevano fare dopo due anni e poi lo dovevi anche rifare. Fare il giornalista oggi è molto più che lavorare. Quanta è la probabilità che i precari riescano ad ottenere un contratto di lavoro vero? Credo che la probabilità di vittoria alla lotteria sia più alta”.

Andrea Cassisi