Appare sul palco con il solito completo casual: jeans, camicia, giacca. Un boato da stadio lo accoglie. Si siede sulla poltrona nera, quasi quasi imbarazzato dall’entusiasmo del teatro strapieno fino al quinto ordine di palchi.
Così comincia la serata di Marco Travaglio al Festival Internazionale del Giornalismo 2011. Introdotto dal general manager di Current Italia, Tommaso Tessarolo, Travaglio regala al pubblico del Morlacchi due ore di monologo a braccio. Un discorso in cui gli è stata data “carta bianca”.
“Non saprei bene di cosa parlare. Se avete qualche argomento che vi interessa me lo dite e cominciamo da lì”. La voce di una ragazza: “La libertà di stampa!”. “Eh… un po’ troppo generico”. “I giovani!”. “Ho 47 anni. Chiamate qualcun altro.” Il pubblico ride. “Forse bunga bunga sarebbe più specifico”.
Dal bunga bunga di Berlusconi, “una parola che il Tg1 e i Tg di Mediaset non hanno mai usato”, Travaglio parte con una divertita disamina sugli scandali politici che hanno coinvolto la classe dirigente italiana del presente e del passato, mettendo in evidenza con il consueto mordente i tentativi degli uomini politici, più o meno riusciti, di restare impuniti: dalle accuse rivolte ai magistrati, alle paradossali giustificazioni di chi è stato colto con le mani nel sacco, all’ammissione di colpa seguita dal “qui rubiamo tutti. Perché prendete proprio me?”. Craxi, Colombo, Miccichè, Scajola, Bertolaso, finiscono nel mirino di Marco Travaglio. Un’analisi ironica che mette in luce la faccia tosta di una classe dirigente che non tenta più neanche di coprire i propri misfatti, anzi pretende di avallarli con uno sfrontato: “embè?”, tra lo stupore della stampa internazionale.
E poi ovviamente Berlusconi. Travaglio analizza le contraddizioni del caso Ruby, le difese paradossali e contraddittorie utilizzate dai legali del Premier e, soprattutto, la difesa a spada tratta del suo seguito, che prescinde da ogni logica.
“Il problema sta nel sistema dell’informazione”, dice Travaglio, perché non si considera il fatto che una buona fetta dei giornalisti italiani sono dipendenti dei familiari di Berlusconi. Travaglio definisce “trombettisti” questi operatori dell’informazione, e sostiene che “non è questione di destra e sinistra, ma semplicemente che, essendo costoro stipendiati dal Premier, non possono che sostenere quanto lui dice. L’Italia è l’unico paese al mondo in cui chi fa politica controlla il sistema dell’informazione. Il dramma è che ci siamo ormai assuefatti a questo sistema e lo consideriamo un dato di fatto.”
Travaglio analizza alcuni dei provvedimenti legislativi attualmente in discussione nelle nostre aule parlamentari, sottolineando il paradossale incrociarsi del processo breve e del processo lungo nelle votazioni delle due Camere. Tra le risate –amare- del pubblico, mette sotto torchio le dichiarazioni senza senso rilasciate da alcuni ministri dell’attuale governo: Alfano e il suo “calcolo empirico” sulle intercettazioni con numeri fuori dalla realtà, Calderoli e le sue “350mila leggi inutili bruciate” con il lanciafiamme. “Nessuno li interrompe, nessuno li smentisce. È il sistema delle informazioni, insieme a una legge elettorale scellerata, che rende inamovibili questi personaggi e mantiene il sistema”.
Infine un po’ di promozione per il Fatto quotidiano: un’operazione editoriale che vuole “rompere il monopolio del pensiero unico che si è venuto a creare in Italia, che non è un danno per i giornalisti, ma un danno per i cittadini”.
Valentina Costa