Da molto tempo ormai il dibattito sulla fine dei giornali stampati e sui modelli economici a sostegno di quelli digitali, anima discussioni tecniche, analisi più o meno approfondite ed è al centro delle preoccupazioni dei giornalisti, editori ed imprenditori del mondo dell’informazione. Per essere compresa e quindi analizzata con la dovuta attenzione, la questione andrebbe divisa in tre parti: la transizione del medium, dal cartaceo al digitale, la crisi economica globale, il problema della sostenibilità delle testate digitali.
Sono tre aspetti di qualcosa che viene normalmente percepito dagli operatori come un fenomeno univoco, eppure distintamente separati e fondati ciascuno nel proprio settore di competenza. La questione della transizione dalla carta al digitale è stata in varie occasioni definita come una 'svolta epocale', paragonata spesso alla rivoluzione culturale, economica e sociale, determinata dall’invenzione della stampa a caratteri mobili.
La crisi economica globale è qualcosa di sistemico, strutturale che trascende il mondo dell’informazione ed abbraccia qualsiasi attività economica del mondo occidentale. È sicuramente una delle cause della diminuzione degli investimenti pubblicitari, insieme ad altri fenomeni altrettanto importanti per il mondo dell’informazione quali, ad esempio, la frammentazione del pubblico su una molteplicità di media e di luoghi reali o virtuali come i social network.
Il problema della sostenibilità delle testate digitali travalica il confine di quello che solitamente viene individuato come una questione di business model. E non è solo una questione di incapacità degli editori nell’individuare un nuovo modo di fare informazione, di reinventarsi il concetto di 'giornale' sulla base delle specificità del medium digitale o individuarne il nuovo principio identitario nell’information overload che caratterizza la rete Internet. La verità è che è cambiato l’intero ecosistema informativo, il modo di fruire le notizie, di cercarle, di trovarle, il tempo ad esse dedicato, il loro valore economico assoluto.
Ma al di là di questi tre aspetti sostanziali, appena accennati per esigenze narrative, Manuel Castells ne individua un quarto, determinante a suo avviso, che attiene l’evoluzione della società ed in quanto tale, irreversibile. Il punto di svolta è per Castells la crisi economica, da lui definita come «la prima crisi globale, non-globale»: i network del potere, politici ed economici, nei paesi occidentali, attraverso i mass media, diffondono l’idea che la crisi sia globale per poter far pagare alle popolazioni i conti dei crimini economici, politici e sociali che sono stati da loro perpetrati attraverso le banche e le speculazioni finanziarie.
Ma la crisi non è globale in quanto essa affligge esclusivamente i paesi occidentali che rappresentano al massimo il 30% della popolazione mondiale (pensiamo alle economie emergenti, tutte in crescita, come i paesi che rientrano nell’acronimo Bric - Brasile,Russia, India, Cina). Ed in questo scenario che per Castells* il sistema dei media, per come lo conosciamo, ovvero quale espressione del controllo sociale da parte delle reti del potere, è finito:
«Il monopolio della comunicazione di massa è finito, e questo è il cambiamento più importante nella storia della comunicazione. Le persone sono oggi in grado di creare reti di comunicazione orizzontale in modo multimodale senza alcun controllo di governi o aziende. Sì, ci sono tentativi di controllare, ma vi sono alcuni fattori che lo impediranno: a) In tutti gli stati vi è una tutela giuridica per la libera espressione b) Le persone possono reagire, cambiando, per esempio, le regole c) Le persone sono in grado di bypassare il controllo e trovano sempre il modo di comunicare in Internet. Anche in Cina».
Ed è appunto attraverso la rete Internet che si sono potuti sviluppare movimenti internazionali quali gli Indignados spagnoli, gli Occupy Wall Street negli USA ed anche le rivoluzioni della primavera araba.
Castells afferma che il giornale cartaceo non ha futuro, non perché avvinto da un improbabile (per lui) determinismo tecnologico, bensì sempre nell’ottica del cambiamento dello scenario politico-sociale che è stato il territorio nel quale il giornale cartaceo,come medium, si è affermato: «Il nostro mondo è online. Il 97% di tutte le informazioni esistenti nel pianeta è digitalizzato. I giornali che non si adattano all'era digitale sono condannati a prescindere dai sistemi “luddisti” che possono provare. In realtà la maggior parte dei giornali europei sono sovvenzionati dai governi e dai partiti politici o sono di proprietà di corporations, anche se in perdita, con il solo scopo di mantenere la propria attuale influenza politica».
E sulla questione della sopravvivenza del giornale cartaceo, Castells non ha dubbi: «È una questione di tempo. Quando la attuale generazione di sessantenni si esaurirà, non ci sarà nessun giornale stampato senza sovvenzioni. Ma l'informazione ed il giornalismo prospereranno nel mondo della comunicazione virtuale, che gli editori dovranno condividere con i blogger e gli altri abitanti della rete».
* Le frasi sono riportate dalla mia intervista a Manuel Castells per il quotidiano svizzero “La Regione Ticino” pubblicata il 19 novembre scorso