Cibo e potere

La pace del cacio cavallo tra Craxi e De Mita. Il summit dell’aragosta tra D’Alema e Buttiglione. La congiura delle sardine a casa di Bossi, il patto della crostata, l’armistizio del “risott”, la pace della polenta e quella della pajata. Non cene con discussioni sui massimi sistemi, ma veri e propri accordi, pianificazioni di strategie. Per far cadere Berlusconi, per calmare le acque dopo la discussione sui ministeri a Monza. Il connubio cibo e politica è invincibile, come ha dettagliatamente spiegato Gian Antonio Stella nell’evento conclusivo della serata del 26 aprile, al Teatro Pavone.

Nord e sud, sinistra e destra. La storia insegna che a tavola i malumori politici finiscono, se non per sempre, almeno per qualche ora.Un monologo tra parole e slide, ripercorrendo la storia dell’umanità. Diversa in anni, imperi e imperatori, dittatori, democratici e comunisti, ma tutti uguali a tavola. Perché “anche l’Odissea finisce con un banchetto. Così come c’erano cene rappresentate sui vasi attici. Ma talvolta a tavola si perdeva la testa in modi alternativi, come successe a Giovanni Battista”. Dal semplice convivio, fino a quando il cibo è diventato ostentazione di ricchezza e addirittura condizione fondamentale per decidere le sorti dei Paesi. Come successe prima di ristabilire l’Ancien Régime. “Ci fu una lunga discussione sui formaggi – ha spiegato Stella – che si concluse inevitabilmente con l’assaggio di tutti i nominati. Vinse il brie, nonostante le pressioni dell’italiano Antonio Aldini perché vincesse lo stracchino, addirittura”.

Il rapporto italiano col cibo inizia a essere controverso con Vittorio Emanuele II, che mangiava solo francese, e questo per Stella “la dice lunga su come il sovrano vedesse l’Italia”. Del resto tutti i Savoia continuarono a evitare il cibo nostrano, fino a quando la prospettiva cambiò. “Nel Novecento l’Italia era povera e malata, e il fascismo puntò molto a sfamare il popolo”. E come non dimenticare la “bomba faccetta nera”, o le campagne pubblicitarie del Minculpop contro la magrezza delle donne. “In Italia si mangiava finalmente italiano, ma quando il fascismo cadde, e il pane non c’era più, bisognava tornare indietro”. Garantire il pane col piano Marshall, farsi aiutare dall’America. Ancora una volta il popolo veniva convinto col cibo. “Let’s help Italy”, e nacque il “partito della bistecca”. Gian Antonio Stella ha stupito, divertito e istruito perché priettato video mai visti che hanno suscitato sorrisi su tutti i volti, alla visione del video pubblicitario sul movimento di Corrado Tedeschi. “Il partito della bistecca si presenta col seguente programma: spaghi, divertimenti, poco lavoro, niente tasse e molto guadagno per tutti. Villeggiature garantite, tante bistecche assicurate, frutta e caffè. Con un programma come questo, come faranno gli italiani a dire di no? La vita è una vitella!”.

Gli episodi sono tanti, troppi. Da Stalin che chiede al partito di assicurarsi che Togliatti si nutra, al pane e cicoria di Rutelli, fino al porcellum. E poi c’è Berlusconi, “esperto di casseula”. Gli spaghetti e il mandolino. Le ordinanze anti-kebab. La politica passa per lo stomaco. Perché se “in vino veritas – ha concluso Stella - in cibo identitas”.

Teresa Serripierro