Come Twitter ha cambiato il mondo

di Vincenzo Marino

I segreti del successo di Twitter

Il lancio in Borsa di Twitter nel listino del New York Stock Exchange è stato uno degli eventi più rilevanti della settimana, e non solo per il suo risultato al di sopra delle aspettative, che dopo il primo giorno ha fissato il prezzo per azione a quasi il doppio dell’offerta pubblica iniziale. Twitter non è il primo social network a sbarcare a Wall Street, ma è sicuramente quello nel quale si ripongono più aspettative e curiosità, se si pensa alla sua nascita (un’idea nata da questo schizzo), al suo sviluppo, la sua disarmante semplicità e a quanto sia diventato fondamentale per i media in genere e attraente per gli utenti che ne fanno uno dei mezzi di reperimento e condivisione delle news. [tweetable]Twitter è diventato centrale nella vita in rete di buona parte degli utenti web, una sorta di «web identity»[/tweetable] -  spiega Paul Ford suBloomberg Businessweek in una cover story che stava creando qualche problema per la scelta dell’immagine di copertina. Un servizio sempre più spesso utilizzato anche come chiave d’accesso - o meglio, di registrazione - ad altri siti, col tempo obbligati a plasmare le loro interfacce (un esempio su tutti il tweet button di cui parla Joshua Benton questa settimana) e i loro  prodotti in base all’esperienza Twitter.

Ford cerca di sviscerarne il meccanismo nascosto, tutto ciò che sta dietro a un tweet: non solo semplice insieme di 140 caratteri ma portatore di numerose informazioni che possono essere riprese e riassemblate da milioni di altri siti. È il meccanismo delle applicazioni ‘terze parti’ che grazie alle Twitter API (l’insieme di informazioni tecniche rese disponibili agli altri programmatori) fanno di Twitter una piattaforma sulla quale gli sviluppatori di altre aziende possono lavorare migliorandone l’adattabilità e arricchendone l’offerta a costo zero. «Ogni tweet ha la stessa anatomia», spiega, ma è molto più di un paio di frasi e un hashtag: è [tweetable]un affascinante meccanismo tecnologico-finanziario che risponde perfettamente all’impulso umano della comunicazione [/tweetable], del manifestarsi della voglia «di informare, di divertire, far arrabbiare». Di certo niente di nuovo rispetto alla natura umana, a questa sorta di esigenza fisiologica - c’è chi dice che Twitter sia stato più una scoperta che un’invenzione - ma la forza del mezzo è stata offrirle un posto, un format, un approccio semplificato e la possibilità di accedervi ovunque grazie alle applicazioni mobile (non a caso a San Francisco sono stati tra i primi a capire che gli smartphone «potevano funzionare come broadcast platform»).

Come Twitter ha «cambiato il mondo»

Che Twitter abbia influenzato più di un aspetto della ‘vita mediatica’ di molti è definizione ormai accettata. Questa settimana il sito della BBC ha pubblicato una timeline per raccontarne l’evoluzione e spiegare come e quali campi della vita siano stati radicalmente cambiati dalla sua introduzione. Dalla nascita sotto il nome “Twttr” nel 2006 alla poco più recente adozione dell’hashtag (su ‘invito’ degli utenti, nel 2007), Twitter ha raccontato e accompagnato molta parte della storia recente: dalla politica, che ha conosciuto una nuova forma di comunicazione elettorale e i fail dei politici costretti alle dimissioni, fino alle breaking news (ovvia menzione per il tweet di Sohaib Athar sulla cattura di Bin Laden ad Abbottabad) e all’attivismo, facendone lo strumento ideale di raccolta, divulgazione e coordinamento delle proteste. La dimensione dell’informazione online, e poi di quella in generale, ha cominciato ad assumere connotati del tutto nuovi (tanto che molto spesso si parla, anche grazie a innovazioni tecnologiche del genere, di «età dell’oro dell’informazione» - Bill Keller sul New York Times è solo l’ultimo), e persino arti, legge e business avrebbero subito una certa influenza: sebbene i numeri del social network californiano non possano essere comparati a quelli di Facebook, [tweetable]«non esiste al mondo un social network che abbia la stessa influenza di Twitter»[/tweetable] - si legge su BBC.co.uk.

Alexis Madrigal su The Atlantic ha analizzato i tweet più condivisi della storia cercando di capire cosa dicessero di Twitter e dei suoi utenti. Fra i primi dodici, quello dell’astronomo Neil deGrasse Tyson, di un calciatore (Cristiano Ronaldo), di alcune icone teen, del rapper Drake e dell’account del software Dropbox, testimoniando quanto l’età media degli utenti sia evidentemente bassa e di come gli interessi dominanti siano quelli legati allo sport, alla tecnologia e alla cultura pop in generale. Una presa di coscienza che deve aver portato la società - presume l’autore - ad adattare lo strumento alle esigenze dei più giovani e degli inserzionisti (non a caso uno dei 12 tweet selezionati da Madrigal è un post pubblicitario) semplificandone l’interfaccia: l’emancipazione da «hardcore information experience», con un linguaggio non troppo immediato (@, #, RT) e un rivale come Facebook, non gli avrebbero comunque impedito di imporsi come strumento necessario, come ‘place to be’, ognuno nel proprio modo e con la propria «ossessione».

Una news platform non rappresentativa

Questa settimana una ricerca del Pew Research Center sui modi e le abitudini tramite i quali gli americani si informano ha dato nuovi dati sull’uso di Twitter come news platform e sul livello di penetrazione delle notizie nella popolazione. [tweetable]Solo l’8% degli adulti statunitensi infatti arriva alle news attraverso Twitter[/tweetable] (che è piattaforma utilizzata in totale dal 16% di questi), sebbene risultino essere più giovani, più istruiti e meglio predisposti alla lettura via mobile rispetto al 30% di iscritti Facebook della stessa fascia: un quarto dei news consumer di Twitter è infatti laureato (30% su Facebook), pur corrispondendo al 29% della popolazione totale. [tweetable]Il 45% di chi arriva alle notizie via Twitter ha tra i 18 e i 29 anni[/tweetable], più del 34% di quelli che lo fanno via Facebook e più del doppio della loro effettiva rappresentanza demografica all’interno dell’intera popolazione (21%). I punti di forza emersi dallo studio sono noti: la capacità di essere collettore di informazioni in tempo reale essendo allo stesso tempo strumento di conversazione multidirezionale («It is, essentially, Sentences With Friends» sintetizza Kathryn Schulz su New York Mag, in un articolo nel quale cerca di spiegare come alla fine, malgrado lo scetticismo, Twitter l’abbia ‘conquistata’).

Numeri che malgrado le puntuali generalizzazioni non possono rappresentare l’interezza della popolazione in nessun modo, come rammenta lo studio. Gli esempi non mancano: [tweetable]Ron Paul avrebbe dovuto vincere le primarie Repubblicane del 2012, stando alla sola analisi dei tweet del periodo[/tweetable] delle elezioni (il 55% delle conversazioni su di lui risultavano infatti essere “positive” a discapito dell’effettivo vincitore, Mitt Romney). O ancora, del tutto diversa è stata la reazione degli utenti Twitter rispetto ai sondaggi su base nazionale sul porto d’armi in seguito alla sparatoria di Newton. Marty Kaplan su Salon ha lanciato in settimana una sorta di allarme sui livelli di ‘ignoranza’ nel proprio Paese: bisogna ricordare sempre che la porzione di americani che si informa è una parte minoritaria rispetto al resto della popolazione, una maggioranza schiacciante che per quanto ne sa «potrebbe benissimo vivere sulla luna». [tweetable]Il mezzo d’informazione principale è ancora - saldamente al comando - la tv[/tweetable], e gli stessi lettori online, per il 38%, trascorrono in media solo 90 secondi al giorno alla ricerca di notizie sul web. I giovani tra i 18 e i 31 anni passano invece soltanto 46 minuti al giorno guardando, leggendo o ascoltando news, contro i 66 della fascia 33-47 e i 77 minuti di quelli compresi tra i 48 e i 66 anni.

Adattarsi o morire

La sfida lanciata al giornalismo, quindi, è andare a intercettare i nuovi lettori, forti consumatori della Rete che non fanno delle news il loro interesse principale. È una sfida persino preliminare all’ormai epica ricerca di un business model futuribile, e che la Senior Editor del Washington Post Cory Haik sul suo Tumblr riassume con il termine «adaptive journalism». Il giornalismo, secondo Haik, deve essere in grado di offrire «il miglior racconto per gli utenti in quel preciso istante, dare il meglio possibile» senza alterare il rapporto del lettore con il suo «continuum spazio-tempo». In altre parole, specifica, [tweetable]adattarsi all’ambiente, alla notizia, agli strumenti e ai lettori andando a intercettare la loro attenzione[/tweetable] e plasmandosi in base loro esigenze - e per farlo, è necessario abbracciare ogni nuova evoluzione tecnologica, adottare ogni forma di piattaforma per far sì che potenziali lettori, in qualche modo, continuino a consumare news. Frederic Filloux questa settimana spiega in uno di due post come bisognerebbe investire 250 milioni oggi (che è la cifra spesa da Bezos per il Washington Post e da Pierre Omidyar per la nuova creatura editoriale che dovrebbe coinvolgere Glenn Greenwald) nel giornalismo digitale.

Per anni, continua l’autrice, il giornalismo classico è riuscito a mantenere una certa rilevanza imponendo il proprio ‘calendario’ (il giornale del mattino, i notiziari in palinsesto), ma [tweetable]in un mondo dominato da un news cycle di 24 ore l’adattabilità istantanea diventa fondamentale[/tweetable], e piattaforme come Twitter, per esempio, rappresentano con altre una grande opportunità. In questo senso, è interessante l’intervista di questa settimana a Nate Weiner di Pocket su FastCompany, dalla quale emerge che longevità media di un articolo in rete (almeno tra quelli salvati su questo servizio, che permette di creare una lista di post da leggere in un secondo momento) è di circa 37 giorni, prima di cadere per sempre nel girone dei contenuti mai letti. [tweetable]«Le nuove tecnologie e i social media hanno alterato per sempre il modo in cui trasmettiamo e leggiamo le news»[/tweetable] continua la Senior Editor del Post, eppure - conclude ottimisticamente - l’uomo ha impiegato millenni prima di imparare a codificare e strutturare un sistema di comunicazione efficiente e condiviso. Rispetto a tutto ciò, la rivoluzione in atto nei media ha tutto sommato uno sviluppo piuttosto recente: [tweetable]«dobbiamo solo aprirci al cambiamento e andare dai lettori lì dove si trovano»[/tweetable].

(Prima immagine via Bloomberg Businessweek)