Giovedì 12 aprile, presso la sala Raffaello dell’Hotel Brufani, si è tenuta la panel discussion “Come vincere la lotta contro la disinformazione?”. Sono intervenuti Peter Bale (direttore WikiTribune), Joyce Barnathan (presidente ICFJ), Jennifer Choi (News Integrative Initiative CUNY), Indira Lakshmanan (The Poynter Institute) e Craig Newmark (fondatore craiglist & Craig Newmark). La moderatrice dell’incontro è stata Vivian Schiller (membro Scott Trust).
Costruire un rapporto di fiducia tra giornalisti e audience attraverso un processo comunicativo basato sull’integrità delle news e sulla loro veridicità. Non essere più schiavi degli scoop, ma aiutare le persone a riflettere sul lavoro del giornalista, proponendo loro articoli sempre verificati. Queste le risposte alla domanda che ha dato il titolo al panel sulla disinformazione.
Vivian Schiller ha esordito spiegando come la situazione «è anche peggiore di quello che immaginavamo. La buona notizia è che nell’ultimo anno ci sono state tante iniziative, in tutto il mondo, nate per proteggere l’informazione di qualità».
La parola è passata poi a Craig Newmark. Ecco la sua ricetta per un giornalismo etico: «Avere un codice deontologico, attuare pratiche corrette, riconoscere e correggere gli errori». Il problema è l’attacco al giornalismo: «Oggi si fa molto fact checking, molte organizzazioni si impegno per bloccare la disinformazione, ma ci sono anche tanti attacchi alla stampa. Tanti giornalisti sono anche sotto aggressione fisica: come proteggerli?».
Joyce Barnathan concentra sui Paesi in via di sviluppo: «Il Centro internazionale del giornalismo che presiedo esiste da 34 anni, da allora combattiamo la disinformazione. La missione è fare uno storytelling efficace della verità attraverso i nostri progetti. L’obiettivo è pratico: aggiungere più redazioni possibili, farle aderire alle nostre iniziative per silenziare le fake news».
Ascoltare ciò che il pubblico vuole è la missione quotidiana di Peter Bale, direttore di WikiTribune: «Stiamo creando un team di professionisti per cercare di coprire tutto quello che viene dal giornalismo partecipativo. L’idea è di avere una copertura 24 ore su 24, restando sempre obiettivi. Cerchiamo di scrivere articoli giusti, basati su tante fonti, provando a creare interazione con la community». Perché le fake news hanno così tanto successo? Secondo Bale, la colpa è dell’ignoranza: «Non voglio essere presuntuoso, ma purtroppo è la base della disinformazione. Molte persone si basano sulle credenze e non sui fatti: noi vogliamo spiegare da dove provengono i nostri articoli, essere trasparenti è cruciale».
Indira Lakshmanan lavora invece per il The Poynter Institute, un’organizzazione che si rivolge ai giornalisti: «La cosa più importante è recuperare la fiducia nei confronti del giornalismo, è un problema che esiste da decenni. Perché si è ridotta? Con la proliferazione di tanti media sono nati anche il giornalismo arrabbiato e quello partigiano. Invece dobbiamo essere responsabili di tutto, accertare l’accuratezza di ciò che pubblichiamo. Appena sentiamo una news vogliamo essere i primi a darla: ma la precisione deve restare l’elemento numero uno. Anche dichiarare gli errori è importante».
In chiusura, Jennifer Choi: «Sì, ascoltare quello che il pubblico vuole è fondamentale. Così come ricostruire il rapporto di fiducia tra i giornalisti e i fruitori dell’informazione. Quando parliamo della fiducia, parliamo della costruzione di un rapporto. Si può ottenere solo con l’integrità delle news: l’obiettivo dovrebbe essere non alimentare mai le fiamme, liberarsi dalle catene della schiavitù imposte dagli scoop».
Simone Vazzana