“Come si sta trasformando la fotografia e il fotogiornalismo nell’era digitale?” È questa la domanda con cui si è aperto l’incontro tenutosi questo pomeriggio nell’affollatissima Sala Raffaello dell’Hotel Brufani, in occasione della dodicesima edizione del Festival Internazionale del giornalismo.
Protagonisti dell’incontro Jeff Israely, cofondatore Worldcrunch, Francesca Sears, Magnum Photos, Dan Gaba, photo editor The Wall Street Journal e Francesco Zizola, cofondatore Noor, che mostrando fotografie segnanti e reportage hanno condiviso le loro esperienze.
Israely ha aperto il panel riflettendo su come l’enorme mole di immagini che circolano sui social media pone domande fondamentali di attenzione ed estetica, etica ed economia, domande che riguardano il lavoro di fotografi professionisti e fotoreporter, così come l'industria delle notizie e l'interesse pubblico nel suo insieme.
Mostrando le fotografie scattate in occasione dell’assassinio di Kennedy e confrontandole con alcuni video, Israely ha voluto sottolineare l’incredibile potere della fotografia affermando che “Tutt’ora la fotografia può trasmettere emozioni, suggestioni che nessun altro dispositivo può equiparare; In questo momento di continua evoluzione digitale quello che ci resta da capire è come mantenere la fotografia con noi”.
La parola viene passata a Francesca Sears, che ad un anno dal settantesimo anniversario della Magnum, racconta la sua esperienza all’interno di una delle agenzie fotografiche più influenti del mondo. Mostrando numerosi reportage realizzati in collaborazione con il canale televisivo statunitense MSNBC, è apparso evidente come il fotogiornalismo, adeguandosi agli strumenti tipici dell’era digitale, riesca in modo straordinario a raccontare temi delicati come quello dei rifugiati in Europa o della guerra civile siriana.
“Per un fotoreporter come te, qual è il potere di Instagram, come influisce sul tuo lavoro?” Domanda Israely a Dan Gaba. “Ho iniziato il mio lavoro rispondendo alle telefonate di importanti fotografi del New York Times, non ho mai pensato di poter essere capace di diventarlo anche io; poi, dopo un brutto momento della mia vita, ero stufo, volevo trovare qualcosa di positivo in quello che mi circondava ogni giorno ed è così che ho iniziato a postare foto su Instagram. Le mie foto sono piaciute, ho avuto feedback ma soprattutto non sono stato costretto a rispettare nessuna regola, nessuno standard, posso postare quello che desidero, quando desidero”. Conclude con un consiglio: capire, approfondire la storia che si vuole raccontare e poi, in un secondo momento, fotografarla.
A concludere l’incontro l’intervento di Francesco Zizola accolto con un grande applauso dopo la visione del video “In the same boat”, frutto di tre settimane trascorse sulla nave di Medici senza Frontiere durante le missioni di soccorso nel canale di Sicilia. “Ho seguito per la mia professione e per interesse personale più conflitti in giro per il mondo; è stata un’esigenza raccontare quello che stava succedendo. Mente ero a bordo e nei momenti di attesa ho riflettuto a lungo sullo stato di salute dei media, e in particolare del giornalismo: mi sono domandato se fosse bastato produrre quello che sapevo, cioè un buon reportage di fotografie. Mi sono dato una risposta, raccontando quello che stava succedendo utilizzando, non solo la macchina fotografica, ma anche il telefono con cui ho registrato audio e fotografie in movimento e un’action cam”. Zizola ha quindi cercato di produrre del materiale decisamente diverso da quello tradizionale.
Concludendo, il rischio a cui la fotografia è sottoposta nell’epoca dei Social Media è quello di perdere il suo potere, consumandosi in qualcosa di elusivo e poco profondo. È quindi il momento di dare inizio ad una nuova sfida: insegnare ad osservare le immagini, solo in questo modo sarà possibile dargli nuovamente un valore.
Virginia Morini