Il fumetto-biografia su Anna Politkovskaja (pubblicato con BeccoGiallo) lo hanno creato insieme: lui lo ha sceneggiato e lei lo ha disegnato. Quindi Francesco Matteuzzi ed Elisabetta Benfatto è insieme che li abbiamo intervistati, a margine dell'incontro "Diritti umani: i linguaggi della comunicazione".
Tu, Francesco, oltre che lo sceneggiatore di fumetti, fai anche il giornalista. Però hai deciso di raccontare la storia di Anna Politkovskaja a fumetti. Cosa ti ha spinto a scegliere questo linguaggio?
F.M.: Io, sì, sono giornalista e sono anche sceneggiatore di fumetti, quindi per me, mettere insieme i due linguaggi è stata la cosa più naturale del mondo.
Il fatto di raccontare la storia di Anna Politkovskaja a fumetti nasce da varie esigenze. Era una storia che mi aveva appassionato: era come un tarlo che mi frullava in testa, sui cui dovevo assolutamente lavorare. E poi mancava una vera e propria biografia su di lei. Io davo per scontato che qualcuno l'avesse scritta e, non riuscendo a trovarla, ho detto: va be', me la faccio io. E la faccio a fumetti, perché è il linguaggio con cui lavoro di solito, quindi so che casco in piedi, vado sul sicuro.
Perché poi io sono convinto che il fumetto abbia una marcia in più rispetto al linguaggio tradizionale, alla prosa. Nel senso che la potenza dell'immagine è una cosa straordinaria, in grado di comunicare immediatamente cose che, con il testo, descriveresti in due pagine e così, invece, le puoi riassumere in una sola vignetta.
Questa domanda è per entrambi: quali sono i vantaggi e quali i limiti del linguaggio fumettistico?
E.B.: Io sinceramente l'unico limite che vedo è quello del genere. Cioè di essere classificati in un genere che, nella percezione popolare, è qualcosa di leggero, per bambini, con il quale certe storie non si possono raccontare. Invece è proprio questa la sua potenzialità: è qualcosa di leggero che, in realtà, arriva a dirti di tutto. Io credo che il fumetto sia un linguaggio che può dire tutto.
F.M.: Il fatto di avere un libro a fumetti permette anche di raggiungere un pubblico abbastanza diverso rispetto a quello che leggerebbe un saggio, per esempio. Raggiungere addirittura un pubblico molto giovane, di ragazzi. Questo per esempio è un libro indirizzato ad un pubblico adulto che è stato letto da dei bambini delle elementari.
Cosa ti ha spinto, Francesco, a scrivere sulla Politkovskaja?
F.M.: Anna era una figura che mi affascinava e mi incuriosiva tantissimo. Perché io avevo letto i suoi articoli quando era ancora viva, articoli che uscivano su Internazionale. E poi, quando fu ammazzata, fu una specie di shock per me: io avevo letto quegli articoli in modo molto più superficiale rispetto ad adesso. Capire effettivamente quale fosse l'importanza delle cose che avevo letto, ma che non avevo ritenuto così fondamentali, mi ha aperto un po' un mondo e mi ha legato a livello emotivo con la figura di Anna.
Poi a me interessa molto la situazione dei giornalisti nell'Italia e nel mondo. La situazione dei giornalisti in Russia è, sì, peggiore rispetto a quella dell'Italia ma non poi così diversa. Io a volte terrorizzo il mio editore definendo questo libro una storia di fantascienza, nel senso che se noi prendiamo la situazione italiana e facciamo una proiezione di quello che è adesso, immaginando il peggiore dei futuri possibili, ecco, la strada potrebbe andare in quella direzione. Ovviamente speriamo tutti e lottiamo tutti perché questo non accada.
Tu, Elisabetta, visto che il libro ti è stato proposto, ti sei avvicinata dopo alla figura di Anna. Come hai fatto ad entrare nel personaggio e a decidere su quali dettagli concentrarti per caratterizzarla?
E.B.: Una cosa che racconto spesso è che ho cominciato a disegnarla guardando i documentari e cercando, quindi, di correre dietro con la matita a immagini in movimento. Perché volevo cogliere prima la sua figura, il suo modo di muoversi, la sua vitalità, piuttosto che i suoi tratti, i suoi lineamenti. Quindi ho cominciato proprio così, cercando di cogliere com'era da come si muoveva, da come guardava, da com'era la postura, da come camminava.
Come hai selezionato, Francesco, gli episodi, i momenti della vita della Politkovskaja da raccontare?
F.M.: Quando si fa un lavoro di questo tipo la cosa più difficile è decidere proprio cosa non deve essere messo nel libro. In questo caso io mi sono concentrato sulle principali inchieste che ha realizzato Anna: la Cecenia, la crisi del teatro Dubrovka, Beslan e poi, ovviamente, sull'omicidio. Diciamo che li ha scelti lei, gli argomenti, e io mi sono limitato a capire le aree più importanti di questa storia e a mettere in fila gli eventi.
C'è da dire, poi, che la vicenda di Anna Politkovskaja, da questo punto di vista, è abbastanza lineare: non ci sono dei colpi di scena, all'interno. Anzi, si è scritta da sola la storia: per come la vedo io non c'erano altre possibilità di raccontarla.
Sara Ligutti