Si è tenuto dalle 16:30 alle 17:30, presso l'Hotel Sangallo, il workshop moderato da Alfredo Macchi, inviato di Mediaset, realizzatore di reportage e video - reportage per svariati programmi di approfondimento, tra cui "Terra!" e "Tgcom24", nonché vincitore di numerosi premi e riconoscimenti per i documentari realizzati. Il workshop è stato incentrato sul classico reportage televisivo e su come stiano cambiando sia gli strumenti per realizzarlo che i mezzi per diffonderlo. Macchi ha mostrato ai presenti -numerosi e interessati- tre reportage diversi riguardanti la medesima tematica, per mostrare la differenza di tecniche, strumenti e potenza delle storie. L'argomento in questione era la situazione del popolo del Sudan, in Sud Africa, invischiato nuovamente in una sanguinosa guerra civile che ha piegato il suo popolo in uno stato di miseria, povertà, malattia e terrore, mostrando come nulla o ben poco sia cambiato e sia stato imparato dopo la vicenda del Rwanda. Il primo reportage mostrato da Macchi è stato realizzato dal Corriere della Sera nel mese di marzo; la struttura di questo prevede inizialmente una sequenza di foto, seguite da una parte testuale che illustra la situazione che sta affliggendo il Paese, carte geografiche che aiutano ad inquadrare i territori interessati, e infine contiene un'intervista in cui una figura di rilievo commenta e spiega la situazione. A questo documentario ne è seguito uno di 12 minuti realizzato dallo stesso Macchi e risalente a due settimane prima, trasmesso da Tgcom24.
Nettamente diverso lo stile del giornalista, presente in prima persona in quei luoghi di miseria e morte. Lui accompagna "per mano" gli spettatori in villaggi vietati agli stessi giornalisti perché luoghi di pulizia etnica, quindi ripresi con una telecamera nascosta, o ancora in rifugi delle basi ONU, in aree di assistenza medica realizzate da volontari italiani. Questo crudo reportage mostra bambini malati in fin di vita, uomini e donne terrorizzati per colpi di arma da fuoco che potrebbero colpirli senza motivo da un momento all'altro, interviste a civili e testimoni di massacri ai danni di bambini accusati di essere ribelli, di giovani donne violentate, del puro terrore che oramai dimora in quei luoghi e in quegli animi. Toccante, incisivo, emozionante, tre aggettivi che non rendono giustizia al documentario, ma che in qualche modo lo descrivono. Macchi dunque apre una spiegazione su come le diverse tecniche di realizzazione e le scelte di stile del giornalista riescano o meno a trasportare lo spettatore dentro una storia, a coinvolgerlo e a restare impresse per un periodo più lungo della durata stessa del documentario. Le tecniche di realizzazione di questo documentario sono estremamente più semplici di quelle utilizzate dal Corriere della Sera, infatti l'intero reportage è stato realizzato con una semplice telecamera di una macchina fotografica e spezzoni di video realizzati con un cellulare, in seguito montati e armonizzati da Macchi. A quello dello del relatore, è poi seguito un terzo ed ultimo reportage realizzato da "The Guardian"e posto sulla sua pagina web dal titolo "The shirt on your back",la struttura di questo prevede testi, immagini e video che scorrono accompagnati dai rumori di fondo di quei luoghi; se ne può cogliere l'essenza, sentire gli odori, vedere i colori. Macchi mostra ai suoi ascoltatori come per un reporter di qualità, l'obiettivo non sia solo raggiungere il più alto audience possibile, quanto quello di coinvolgere, emozionare, commuovere, e muovere qualcosa negli animi fino a far reagire concretamente le persone a queste situazioni.
Il workshop trova nella sua parte conclusiva una serie di consigli su come realizzare reportage di qualità, vale a dire pensare a cosa si vuol raccontare e alla prospettiva da cui lo si vuole fare,e ssere quanto più possibile informati sulle vicende, trovare i propri luoghi e personaggi chiave che diventeranno il cuore del proprio racconto, fare un preventivo dei tempi di lavorazione tenendo sempre presenti gli eventuali contrattempi che inevitabilmente possono sorgere in situazioni delicate e pericolose, e infine avere i giusti mezzi per raccontare la propria storia e tutte le autorizzazioni necessarie.
Tra i consigli dati dal giornalista agli aspiranti reporter presenti in sala c'è anche quello di pubblicizzare il proprio documentario attraverso canali come YouTube o Videomeo per accrescere l'interesse e la souspance, e soprattutto scegliere che tipo di invasività del giornalista si desidera: se protagonista della storia, accomagnatore e narratore, o completamente assente dalla scena. Interessante, toccante ed estremamente esplicativo, si è concluso con successo un nuovo workshop di uno dei più importanti reporter del giornalismo italiano.
Marina Polito