Mercoledì 11 aprile, presso la sala dei Notari di Perugia, Federica Angeli (La Repubblica), Silvio Aparo (direttore VoxPublica.it) e Nello Trocchia (Nemo - Rai 2) hanno preso parte alla panel discussion intitolata “Giornali in prima linea e cronisti sotto scorta”. Assente Paolo Borrometi, presidente Articolo 21, che ha preferito declinare l’invito dopo la notizia dell’attentato pianificato da Cosa Nostra nei suoi confronti.
A spiegare il motivo dell’assenza di Borrometi, Silvio Aparo. Il direttore di VoxPublica.it ha poi parlato del ruolo del lettore. «Indro Montanelli, nel primo editoriale de ‘La Voce’, ha scritto che l’unico padrone del giornalista dovrebbe essere il lettore». Da allora sono passati circa 30 anni, ma la libertà dei cronisti non si è mai raggiunta completamente. «Dobbiamo cambiare la mentalità, la testa – ha sottolineato Aparo –, non i modelli di giornalismo. VoxPublica è questo: tiene conto di tutti gli elementi di sostegno, ma in maniera equilibrata. Non c’è un azionista di maggioranza, non comanda nessuno: solo i giornalisti, devono essere liberi».
Successivamente, l’intervento di Nello Trocchia: «Quando si parla di giornalisti in prima linea si sottintende la presenza di giornalisti in seconda e in terza linea. Per questo è fondamentale interrogare la categoria: se un cronista che fa nomi e cognomi di boss in un territorio diventa un obiettivo, significa che è stato il solo a farli. Se qualcuno sta in prima linea è perché gli altri stanno dietro: un problema enorme per la nostra categoria». Il pensiero di Trocchia è andato anche a Paolo Borrometi: «Non è qui perché ha illuminato a giorno il territorio da cui proviene. Trovo inaccettabile che mentre lui e Federica vivono una vita sotto tutela, in questo momento Salvatore Giuliano, che ha pianificato l’attentato a Paolo, è a piede libero». Il giornalista di Nemo ha poi sottolineato il problema del precariato nel mondo dell’informazione: «Io lavoro in tv e vivo di questo lavoro, sono fortunato, ma ci sono colleghi sottopagati che lavorano continuamente sotto minaccia».
Infine, il microfono a Federica Angeli, sotto scorta per le sue inchieste a Ostia firmate per La Repubblica: «Quando lavori sul territorio e lo respiri, allora raccogli l’essenza di ciò che si vuole raccontare. Da quando vivo sotto scorta non posso più farlo. Le mafie di Roma sono state sottovalutate per troppo tempo: non hanno nemmeno un nome, non sono state identificate come quelle del Sud. C’è ancora una resistenza culturale nell’accettare una mafia con l’accento romano». Da una parte la paura per l’incolumità personale e della famiglia, dall’altra il dovere di informare: «Vinco l’omertà del mio quartiere con la penna, non voglio essere come quelli che si girano dall’altra parte».
Simone Vazzana