16 aprile 2015, ore 11.30 - Centro Servizi G. Alessi, Perugia
Come è cambiato il modo di fare giornalismo di guerra? Qual è il ruolo dell’inviato nell’era dei social media? Questi sono i temi affrontati nel panel “Giornalismo di guerra, vecchie e nuove sfide” moderato da Amedeo Ricucci del TG1, con Lucia Goracci di RAI news 24, Daniele Raineri de Il Foglio e Theo Padnos, giornalista e scrittore.
La professione del giornalista di guerra e gli strumenti del mestiere sono cambiati profondamente con Internet e i social media, ma la figura dell’inviato continua ad essere essenziale per una corretta informazione dalle zone di conflitto.
Il primo focus del panel è sulla rivoluzione della Rete. Internet dà la possibilità di coprire in tempo reale le repressioni e le censure dei regimi. Grazie alle nuove tecnologie, i costi di produzione e invio dei servizi televisivi sono stati abbattuti. Secondo la Lucia Goracci, oggi velocità e verificabilità sono due estremi opposti con confrontarsi. Ecco perché, commenta, “servono esperienza, mestiere e onestà intellettuale per bilanciare le informazioni della rete con il lavoro giornalistico di verifica delle notizie. Giornalismo è soprattutto saper fare un uso corretto di quello che offre la rete”.
Anche il citizen journalism ha influito molto sul tipo di lavoro che un inviato può offrire rispetto ad un attivista sul posto. Secondo Raineri, nelle zone di conflitto c’è una “guerra d’informazione”: quando non c’è certezza sulle notizie che arrivano, solo il lavoro sul campo può fare chiarezza sugli eventi. L’inviato serve proprio a questo, a filtrare e verificare le informazioni.
L’incontro prosegue con l’intervento di Theo Padnos, giornalista ex ostaggio di al-Nusra in Siria. Padnos affronta il tema del terrorismo islamico da un punto di vista alternativo, quello dell’intreccio tra amore, relazioni sociali e religione. Recatosi sul posto per capire meglio la realtà siriana, Padnos pensava di trovare risposte scoprendo in che modo uomini e donne entrano in contatto e si conoscono ad Aleppo. “La prima cosa a cui ho pensato” dice Padnos, “è stata l’amore, il modo in cui queste persone si prendono cura le une delle altre e il modo in cui trattano le loro donne”. Il fondamentalismo passa anche attraverso le canzoni pop, che oggi sono soltanto religiose.
La trasformazione della professione giornalistica nelle zone di guerra ha portato a identificare i giornalisti come target da colpire. Ricucci spiega che i corrispondenti non sono più il perno del sistema informativo, perché le informazioni arrivano direttamente dagli attivisti. Goracci aggiunge che c’è una contro narrativa prodotta dallo Stato islamico che influisce sul proselitismo e sulla fascinazione di una rappresentazione spesso eccessiva rispetto alle vere possibilità militari dei combattenti.
Il risultato è che il giornalista oggi è costretto a muoversi nell’ombra. “Se prima l’unica forma di salvezza era segnalare di essere un giornalista, ora bisogna mimetizzarsi il più possibile” dice Raineri. Per questo motivo, sottolineano gli altri partecipanti del panel, i fixer sono fondamentali, così come è importante conoscere molto bene il contesto in cui si sta lavorando. “La maggior parte del lavoro consiste nella preparazione e non nella parte che si svolge sul campo” commenta Raineri. Il rischio, secondo Ricucci, è che al presente ci siano molti giovani giornalisti che si avvicinano al giornalismo di guerra, molto affascinati ma spesso sprovveduti o impreparati.
L’ultimo tema del panel riguarda il rapporto tra la credibilità del giornalista e le interazioni nei social network. Se prima il corrispondente rappresentava l’Informazione, ora viene attaccato o smentito nei social. A proposito, Goracci dice che bisogna sempre fare i conti con la diffidenza del pubblico nei confronti dei giornalisti, ma senza generalizzare. Per Ricucci, il giornalista del 2015 deve pensare anche alla realtà aumentata che va analizzata e che rende il lavoro più complicato, avendo a disposizione, peraltro, sempre gli stessi strumenti, aggiunge Goracci.
L’incontro si è concluso con le domande dal pubblico tra cui quella sulle motivazioni personali che spingono gli inviati a fare il loro lavoro, nonostante i rischi. “Sei al cospetto della storia nel momento in cui accade e non c’è nulla di più appagante”, la risposta di Lucia Goracci.
Laura Lisanti