GIORNALISMO INVESTIGATIVO E CRONACA NERA

Domenica 19 aprile, quinta e ultima giornata del Festival Internazionale del Giornalismo.
Si è svolto alle ore 11,00, nella Sala Perugino dell'Hotel Brufani, il workshop su “Giornalismo investigativo e cronaca nera”. Al tavolo dei relatori erano sedute Fiorenza Sarzanini, cronista giudiziaria del Corriere della Sera, e Amalia De Simone, videoreporter d'inchiesta per corriere.it e direttrice di Radio Siani. Le due giornaliste hanno spiegato in cosa consiste fare giornalismo giudiziario e d'inchiesta, mettendo in evidenza gli elementi più importanti per svolgere al meglio la loro professione.
«Il giornalista di giudiziaria è la figura che meglio esemplifica il ruolo di tramite tra le fonti di informazione e il cittadino» ha esordito Sarzanini. «Per questo motivo egli deve garantire massima attendibilità, e questo è possibile solo se dispone di una pluralità di fonti, che a loro volta dovranno essere affidabili». Nello svolgere il suo lavoro, il cronista giudiziario deve anche prestare attenzione a non superare alcuni limiti. «Ci sono dei casi in cui è necessario sospendere l'esercizio del diritto di informazione e non divulgare notizie. Per esempio nei casi di sequestro di persona, quando diffondere certe informazioni potrebbe mettere a rischio la vita dell'ostaggio. Un altro caso è quando ci sono delle indagini in corso: bisogna stare attenti che le informazioni che divulghiamo non ne compromettano l'esito». Negli altri casi vale la regola generale per cui ciò che è pubblicabile deve essere stabilito esclusivamente sulla base dell'interesse del cittadino-lettore. Secondo Sarzanini, non ha senso che il giornalista ponga degli altri confini all'esercizio del suo lavoro: il suo compito è informare il cittadino nel mondo più esauriente possibile, non deve omettere nessun fatto. Al più sarà compito dei magistrati fissare paletti e sanzionare eventuali violazioni.
De Simone ha quindi sottolineato l'importanza, nell'ambito di un lavoro di inchiesta, del prestare attenzione alla solidità delle fonti di cui si dispone. «L'anno scorso stavo seguendo il caso Berlusconi-Lavitola. Collateralmente si scoprì un traffico di grosse partite di cocaina che dal porto di Gioia Tauro venivano trasportate negli Stati Uniti. Il fatto era certo, ma io, come prova, disponevo solo di un'intervista a una persona che lavorava nell'azienda ittica in cui le partite di droga venivano inserite all'interno di filetti di squalo. Non avevo materiale a sufficienza, così dovetti lavorare alla storia per altri cinque mesi, durante i quali riuscii a recuperare altri documenti utili».
Il mestiere di giornalista d'inchiesta può porre di fronte a dilemmi di natura etica. Per esempio, quando l'autorità giudiziaria impone di fare i nomi delle proprie fonti di informazione, la cui identità, secondo l'etica professionale, deve essere protetta dall'anonimato. Secondo Sarzanini, «in questo caso è sacrosanto rispettare la propria etica di giornalista, andando incontro a eventuali sanzioni, carcere compreso, come fece Giuseppe d'Avanzo nell'ambito della sua inchiesta sulla strage del Rapido 904».

Daniele Conti