“Oggi il giornalismo, grazie alla tecnologia, conosce un grande allargamento dei suoi confini. Da questo nasce, o forse rinasce, una tipologia di giornalismo, quello d’inchiesta, che non si ferma solo a verificare fatti e indagare eventi avvenuti in una determinata nazione, ma va oltre i confini geografici convenzionali per diventare transnazionale”.
Al Centro Alessi, nell’ultima giornata dell''Ijf 2012, Giulio Rubino, giornalista freelance autore di inchieste transnazionali, definisce e indaga il campo del giornalismo d’inchiesta, quello transnazionale, in un panel discussion che ha l’obbiettivo di delinearne le tecniche e di mostrarne alcuni esempi importanti.
Ospiti in sala, Blaz Zgaga, giornalista freelance, co-fondatore del Center for investigative Journalism in Slovenia e autore della trilogia In the name of State che indaga sul traffico di armi, definita come “la madre di tutti gli scandali in Slovenia”. “Abbiamo iniziato a lavorare nel 2007 pianificando le nostre ricerche, e nel 2008 siamo partiti nell’organizzazione del procedimento di indagine: da dove volevamo partire e dove volevamo arrivare. La prima domanda che ci siamo posti è come analizzare una quantità enorme di dati e come ricavare da essi una storia giornalistica convincente. Durante tutto il periodo dell’inchiesta abbiamo letto libri e ascoltato testimoni più o meno diretti dei fatti e ci siamo ritrovati ad avere un database con più di 6000 documenti riguardanti costi, account bancari, quantitativi di armi impressionanti. Tutto ciò ci ha permesso di entrare davvero dentro la notizia e di sentirci totalmente partecipi al processo di indagine della verità”. Questa inchiesta si è mossa attraverso tutti gli stati della penisola balcanica ma non solo. Infatti, continua a raccontare Zgaga, l’indagine ha coinvolto il commercio di armi attraverso diversi fondi bancari in banche svizzere, ungheresi, austriache, la compravendita di armi tra la Patria, azienda bellica finlandese e il governo sloveno, operazioni clandestine dei servizi segreti militari e civili insieme alle mafie italiane, albanesi e russe. Questo lavoro ha portato all’arresto di trenta persone nei paesi citati, incluso il Primo Ministro sloveno Janez Jansa. “Per il mio lavoro infatti ho ricevuto minacce di morte ma non ho mai avuto intenzione di rinunciare al dovere di scoprire la verità”.
La seconda inchiesta transnazionale è presentata dalla giornalista investigativa del “Center for investigative reporting in Sarajevo and organized crime and corruption reporting project” (OCCRP) Miranda Patrucic, autrice di The Proxy Platform, inchiesta pubblicata on line nel sito del centro di investigazione. “La mia inchiesta è durata più di due anni comprendendo quasi tutti gli stati della penisola balcanica ma anche molti stati occidentali. Dalla Bielorussia alla Romania, alla Moldavia, alla Lituania e molti altri ancora abbiamo trovato tracce di quello che volevamo provare: scoprire l’uso illecito di denaro e le attività nascoste di esponenti governativi. Per fare questo ci è bastato pensare a dove il denaro è più al sicuro, cioè nelle offshore e nei paradisi bancari. Nell’inchiesta sono state comprese anche molte banche tra cui la Baltic Internazional Bank che ha versato per anni denaro in account fantasmi in giurisdizioni reputate offshore”. La giornalista, spiega, ha realizzato l’inchiesta con ricerche parallele e la registrazione delle compagnie che inviano e ricevevano denare, con social netwrok analysis e le financial records di tutti i movimenti di persone reali e delle offshore e naturalmente lo spostamento continuo per le interviste e l’apprendimento di come questa parte dell’economia mondiale funziona. “Il crimine non si ferma ai confini, va oltre e noi lo dobbiamo perseguire anche oltre”.
L’ultima indagine transnazionale è italiana. Toxic Europe, co-diretta da Cecilia Anesi, giornalista freelance laureata in Giornalismo e Sociologia (criminologia e migrazioni) alla City University di Londra, assieme a Giulio Rubino e alla giornalista belga Delphine Reuter nel 2011, ha vinto il premio “Best International Organised Crime Report 2011”.
“Non abbiamo seguito i rifiuti ma i soldi. Perché, come è già noto, l’Italia ha il primato per lo smaltimento dei rifiuti illegale. Abbiamo trovato difficoltà che non ti aspetti, cioè una barriera da parte delle Istituzioni che non ci hanno aiutato. Ci siamo rivolti a Eurostat per avere dei dati in cui abbiamo visto 225mila tonnellate mancanti in Europa. Non si sa che fine abbiano fatto. Abbiamo portato sotto gli occhi di tutto quella che viene chiamata Ecomafia, sviluppata in Italia poiché le nostre mafie gestiscono totalmente i trasporti e ciò frutta più di venti miliardi all’anno”. Dalle indagini - approfondisce Rubino - le mafie italiane sono riuscite pure a esportare questo modello illegale di smaltimento in europa entrando in collaborazione con le altre organizzazioni mafiose. Rubino mostra infatti le rotte dei traffici che partono dall’Italia per arrivare in Romania dove ci sono compagnie italiane che hanno come responsabili ex militanti rumeni e spesso anche persone che in Italia sono stati condannati per associazione mafiosa.
“Il commercio di merci è talmente elevato che è facile nasconderlo e quindi le autorità hanno tantissime difficoltà a scoprire questi illeciti. Tocca soprattutto alla cittadinanza, e in secondo luogo anche ai giornalisti, portare a conoscenza delle autorità e dell’opinione pubblica crimini che se no rimarrebbero impunite. Ecco lo scopo del giornalismo d’inchiesta transnazionale che diventa irrinunciabile e sempre più importante”.
Daniele Palumbo