Giornalisti uccisi: le loro inchieste sopravvivono

Corruzione, controllo dei media da parte dello Stato e criminalità organizzata: è questo mix di micidiali fattori che ancora oggi toglie il fiato a giornalisti ritenuti “scomodi”. Ma le loro inchieste continuano a vivere grazie ai colleghi portano avanti la missione. Questo è quanto Cecilia Anesi (cofondatrice Irpi), Pavla Holcova (fondatrice Investiace) e Carlo Bonini (giornalista de La Repubblica) hanno raccontato alle tredicesima edizione del festival del giornalismo.
Ogni volta che un giornalista viene assassinato, i colleghi rispondono riprendendo i temi di inchiesta ed indagando  sull’omicidio. Questo è quanto è successo in seguito agli assassisi di Daphne Caruana Galizia a Malta e di Jan Kuciak in Slovacchia.
Per far ciò, i giornalisti fanno rete, mettendo insieme le proprie competenze e professionalità. È così che nascono "The Daphne Project" e "Unfinished Lives, Unfinished Justice": due progetti internazionali che vantano la partecipazione di diciotto testate giornalistiche provenienti da altrettanti Paesi. Questa grande varietà nella partecipazione è carica di una grande forza persuasiva che caratterizza il momento della ricerca: infatti, è difficile non ricevere risposte quando ci si presenta in così tanti e da tutto il mondo. È così che si ottengono i grandi risultati
Come sottolinea Holcova, subito dopo l’assassinio di un collega è di fondamentale importanza concludere l’indagine in corso il prima possibile e provvedere alla diffusione dei risultati. I giornalisti vengono uccisi sempre per quello che potrebbero ancora dire, piuttosto che per quello che hanno già detto. Per questa ragione è necessario concludere il tutto il prima possibile. È necessaria la presenza di una persona che conosca tutti i dettagli del caso, così da coordinare i lavori.
Non è poi da sottovalutare il grande eco mediatico che deriva dalla diffusione simultanea delle notizie rilevate nei diciotto Paesi.

Serena Grasso - volontaria press office IJF19