Dopo la visione del documentario “Gli occhi della guerra: Comics go to war – La guerra di carta”, proiettato nella sala Notari la sera di sabato 16 aprile, si ha modo di riflettere su quel territorio intermedio tra arte e giornalismo, popolato da chi si interessa di attualità - o ne è coinvolto non volendo - ed ha il coraggio di affrontare tematiche spaventose, di raccontarle attraverso un’espressione artistica personale.
In particolare il film documenta l’excursus di un vero e proprio genere che possiamo definire narrativo- informativo e che esiste fin dagli anni settanta: il fumetto che racconta la guerra reale che, quasi sempre, l’ha vissuta in prima persona. In questo modo, supera il suo ruolo di artista e lo coniuga con quello del reporter.
Lo spettatore ha modo di scoprire le caratteristiche estetiche e la creazione di questi “libri di giornalismo a fumetti” attraverso le testimonianze ed i disegni di molti autori: Joe Sacco, Ted Rall, Patrick Chapette, Maus, Marjan Satrapi, Joe Kubert. Si tratta di nomi importantissimi nell’ambito dell’innovazione grafica, ma anche di persone a cui corrispondono esperienze drammatiche di epoche diverse: da chi ha visto le persecuzioni degli ebrei nell’ultimo conflitto mondiale e le ha volute raccontare nel 1983, chi ha vissuto l’oppressione e la violenza nel territorio palestinese nel 1992, fino a chi è tornato dall’ Afghanistan nel 2001 con uno stress post-traumatico come quello dei soldati.
Partendo dal presupposto che fin da bambini siamo “creature visive”, leggere un fumetto che racconta di una guerra ha, in qualche modo, un impatto emotivo maggiore perché coinvolge di più di un racconto scritto o orale, ma allo stesso tempo non ha la crudezza e la morbosità delle fotografie e dei video. La forza di tali rappresentazioni grafiche è accresciuta nel lettore dalla consapevolezza che il disegnatore ha realmente visto e sentito il fischio delle bombe, i corpi mutilati, le urla dei civili, il fuoco delle armi, proprio come un giornalista inviato di guerra che, illustrando le piccole storie dei singoli vogliono raccontare le grandi storie.
Tra gli autori intervistati, si rivelano quanto mai veritiere ed attuali le parole del disegnatore manga Keiji Nakazawa, che si è inserito nel genere creando Gen di Hiroshima fin dal 1972 e che dice alla telecamera: “Abbiamo il dovere di lavorare alla memoria collettiva perché troppo spesso gli orrori della guerra vengono dimenticati”.
Chiara Vero